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Ristoratori massacrati, Paragone all'assalto: il Palazzo lontano dal Paese

Gianluigi Paragone
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Venerdì ho accompagnato la protesta dei ristoratori di #ioapro1501. Sono stato a Sassuolo alla Filetteria di Antonio Alfieri, uno dei promotori. Per qualcuno sarei un «cattivo maestro» che va da un «untore»; qualcuno ha pure asserito che saremmo pure due «negazionisti». Insomma, per il pensiero mainstream siamo destinati all’inferno. Inteso come l’inferno in terra, quello allestito dal governo dei buoni e dei bravi, sostenuto da giornali e tg a reti unificate. Con il coretto delle associazioni di categoria che ovviamente hanno tutto l’interesse a bloccare i dissidenti per paura di perdere il peso della rappresentanza.

Le cose ovviamente si vedono così quando si perde il senso del Paese. In questi giorni le prime pagine passano dal pallottoliere dei contagi, dei tamponi e dei ricoveri, a quello dei responsabili costruttori (i fu voltagabbana di grillina memoria) e delle poltrone da salvare e da assegnare pur di tirare a campare (che è sempre meglio che tirare le cuoia). L’emergenza Renzi ha sostituito l’emergenza Covid e la crisi di Palazzo offusca la crisi nel Paese. Questo perché il Palazzo, dalle sofferenze del Paese, è sempre rimasto sostanzialmente distante. Sono mesi che parlo ininterrottamente con il mondo produttivo e sono mesi che l’incaglio resta lo stesso, per quanto si limiti a cambiare nome: la cassa integrazione non ha raggiunto tutta la platea interessata, i prestiti sono rimasti al palo, i ristori e i risarcimenti sono arrivati come una specie di lotteria per i più fortunati (la CGIA di Mestre svela che non coprono nemmeno il 7% delle perdite) e pure lo smaltimento delle sofferenze è sempre stato un buttare la palla avanti. Insomma, una specie di strategia alla "viva il parroco". E infatti ora la gente sta perdendo la pazienza perché non sta scritto da nessuna parte che anche il conto di questa emergenza debba finire sul tavolo dei soliti.

Sento parlare di soldi che non ci sono o di errori burocratici, di regole che vanno rispettate, di verifiche da completare; pertanto domando: ma perché le mascherine sono state pagate più che altrove e più del costo dovuto, senza troppe storie? Perché sono stati versati acconti corposi, spesso senza controllare alcunché circa la "qualità" delle società di mediazione? Perché sono state coinvolti i soliti nomi del salotto industriale senza coinvolgere le tante realtà cui è stata data l’illusione della riconversione?

Potremmo andare avanti a lungo, allargando ad un sistema bancario che non si fida del prestito statale e chiede sempre garanzie personali. O potremmo raccontare dei soldi che stanno facendo le multinazionali che gestiscono app digitali. O quel che stiamo dando ai cinesi. Insomma, osservazioni che ben conosciamo.

Nella protesta dei ristoratori (o degli esercenti o delle palestre) ho toccato con mano tante ingiustizie: dalla scarsa cassa integrazione arrivata in ritardo alla illusione di poter riaprire salvo poi rimangiarsi tutto quando la spesa era stata fatta e pagata. Chiudere i ristoranti significa andare a intaccare la filiera agroalimentare non interessata dalla grande distribuzione; significa rompere quel rilancio professionale della cucina a cominciare dalle scuole di formazione; significa inceppare le tintorie e chi lavora con i ristoratori. Infine significa "crashare" economia reale e banche, allargando gli affanni al pagamento dei servizi luce, gas, acqua, spazzatura.

Il rischio - consapevole - che i clienti dei locali aperti si sono accollati è stato un atto di generosità e assieme un atto di libertà che ha creato il precedente: la campagna #ioapro1501 ha vinto a prescindere dal numero totale degli aderenti, è stata una crepa nel sistema dell’unilateralismo a reti unificate, è stata una reazione ai dpcm, è stata una boccata di libertà nell’asfissia di chi tappa la bocca al dissenso o di chi punta l’indice.

Questa libertà strappata coi denti ha però un prezzo: verbali, irruzione delle forze dell’ordine come se in sala ci fosse stato Pablo Escobar o la famiglia Savastano di Gomorra, e soprattutto la gogna mediatica da parte dei Buoni e dei Bravi. I famosi Bravi del Palazzo.
 

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