Crisi di governo, caccia grossa ai senatori responsabili per salvare Conte
Con Renzi è finita, avanti tutta con Conte. Almeno fino a quando l'avvocato del popolo ci sarà. Perché la resa dei conti - nel vero senso della parola - ci sarà la prossima settimana: lunedì alla Camera e martedì al Senato, quando la crisi sarà finalmente parlamentarizzata. Come chiedono tutte le forze politiche, ormai. E prima del voto sullo scostamento di bilancio, necessario per il nuovo decreto Ristori. Il premier farà le sue comunicazioni, sulle quali ci sarà un voto fiduciario che servirà a capire se i numeri per andare avanti ci sono o se l'esperienza di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi è definitivamente terminata.
Così il day after lo showdown di Italia viva, le fibrillazioni per tenere in vita l'esecutivo si trasformano in un vortice di incontri, più o meno segreti, contatti, telefonate, messaggi whatsapp e conti su fogli di carta volanti. Pd, Movimento 5 Stelle e Leu cercano senza soste 161 senatori per mettere al tappeto Matteo Renzi (tutti dicono che il dialogo è chiuso), liberarsi una volta e per sempre del suo partito e proseguire la legislatura. Luigi Di Maio rivolge un accorato appello "a tutti i costruttori europei che, come questo governo, in Parlamento nutrono la volontà di dare all'Italia la sua opportunità di ripresa e di riscatto. Insieme, possiamo mantenere la via".
Il progetto, però, prevede che a sostituire Iv sia un altro gruppo ben riconoscibile. Conditio sine qua non che il Colle pretende. Ecco, dunque, la soluzione: i Responsabili dovranno confluire nel gruppo Maie (gli eletti all'estero, sostanzialmente), guidato da Riccardo Merlo. Dando di fatto avvio all'embrione di un partito di Conte. L'obiettivo è naturalmente concentrato su Palazzo Madama, dove i numeri sono più che ballerini. Al momento i nomi che circolano sono sempre gli stessi: oltre ai senatori a vita, si vocifera di un sostegno in arrivo da parte di Paola Binetti, Antonio De Poli e Antonio Saccone dell'Udc, dagli ex pentastellati Maurizio Buccarella, Saverio De Bonis, Luigi Di Marzio, Tiziana Drago, Elena Fattori. Ma si guarda anche a Gregorio De Falco o Marinella Pacifico. Tra qualche smentita e i silenzi che valgono come assenso, c'è comunque da fare bene i conti. Perché il problema è che molti di loro già votano a favore del governo. Perciò l'idea deve essere - per forza di cose - quella di sottrarre parlamentari alle opposizioni. Un 'gol' che varrebbe doppio, perché ogni voto guadagnato è automaticamente tolto ai competitor.
Ogni segnale viene captato dai pontieri della maggioranza. Ad esempio, non è sfuggita l'uscita del socialista Riccardo Nencini, che nel 2019 concesse a Renzi di condividere il simbolo Psi per creare il gruppo dopo la scissione dell'ex premier dal Pd. "Noi siamo tra i costruttori", ha ammesso senza remore. Un punto a favore di Pd e M5S. Che guardano soprattutto in casa Forza Italia, anche se Antonio Tajani, dopo il vertice con tutti gli altri leader della sua area, assicura che nessuno dei suoi uomini si muoverà dal ventre caldo del centrodestra. Sebbene il senatore Andrea Cangini parli apertamente di un esecutivo "di responsabilità nazionale" in cui tutti possano lavorare "nell'interesse reale della nazione". Unica condizionalità: via Conte. Perché gira che ti rigira, sempre lì si torna: c'è un pezzo di Parlamento che vorrebbe un cambio del premier.
Non i suoi principali sostenitori del momento, Cinquestelle e dem. Anche se gli ambienti parlamentari svelano dettagli interessanti. Ad esempio in casa pentastellata, nonostante la presa di posizione di Beppe Grillo, che lancia addirittura l'hashtag #ConTe, non tutti i portavoce sarebbero disposti a lanciarsi nel vuoto di una fine anticipata della legislatura. Soprattutto ora che c'è una pandemia mondiale in atto e dall'Europa stanno per arrivare risorse (209 miliardi) mai viste prima dall'Italia. Stesso discorso vale per il Pd, che si è stretto attorno al presidente del Consiglio in questo tentativo estremo di salvare il governo. Poi, ovviamente, suggerisce più di una fonte: se alle Camere non ci fossero i voti, andrebbero battute tutte le strade per evitare un rischioso ritorno alle urne che consegnerebbe il Paese nelle mani dei sovranisti. Proprio quello che nessuno vuole.