fuori dal governo

Ecco la lettera di dimissioni di Bellanova, Bonetti e Scalfarotto

«La politica è la più alta e nobile forma di servizio, e servire le istituzioni repubblicane, l’onore più memorabile che possa capitare una cittadina un cittadino. Non è interesse di parte non è ambizioni personali». Inizia così la lettera di dimissioni inviata dalle ministre Iv Teresa Bellanova e Elana Bonetti e del sottosegretario Ivan Scalfarotto al presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

«Non vogliamo renderci complici di delegittimare il metodo democratico ritenendolo secondario rispetto all’emergenza al contrario pensiamo che la democrazia debba essere difesa integralmente soprattutto nei momenti di massima crisi non solo nei momenti di tranquillitài», continua la lettera. «Se non c’è bisogno delle nostre idee e della nostra passione, se la nostra collaborazione il nostro contributo non servono, la cosa più giusta da fare è restituire il nostro mandato, per sempre grati di aver avuto il privilegio di servire l’Italia».

  

E' lunga la  missiva che le due ministre e il sottosegretario di Italia Viva hanno invitato a Conte. Ed ecco il testo completo.

Signor Presidente del Consiglio, 
la politica è la più alta e nobile forma di servizio e servire le istituzioni repubblicane l'onore più memorabile che possa capitare a una cittadina o a un cittadino. Non è interesse di parte, non è ambizione personale. 
Questi principi sono stati la stella polare della nostra esperienza professionale, politica e di vita. Veniamo da storie diverse: Teresa si è formata nel lavoro sindacale, Elena nell'associazionismo cattolico, Ivan nella lotta per i diritti e per l'uguaglianza. Ma oggi ci troviamo uniti, nella diversità delle nostre esperienze, davanti a un passaggio che è estremamente difficile sul piano umano ma che dobbiamo alla nostra comunità politica, alle nostre famiglie, e in primo luogo a noi stessi, alla nostra coscienza individuale. Lasciare un incarico di Governo richiede lunghissime, dolorose e assai profonde considerazioni. Abbiamo deciso di rimettere il nostro mandato in nome della dignità e della nobiltà della politica e della nostra libertà e responsabilità individuale. 
Sono tre i motivi per i quali lasciamo la squadra di Governo, ringraziandoLa comunque per questi sedici mesi di collaborazione e di lavoro comune. 
Il primo motivo è di metodo. Abbiamo voluto questo Governo convinti che fosse necessario per evitare la deriva verso i "pieni poteri" che un importante esponente del precedente Esecutivo aveva richiesto per sé stesso. Anche oggi non vogliamo renderci complici di delegittimare il metodo democratico ritenendolo secondario rispetto all'emergenza, Al contrario pensiamo che la democrazia debba essere difesa integralmente soprattutto nei momenti di massima crisi, non solo nei momenti di tranquillità. Ci ha dunque assai meravigliato e rammaricato vedere come Lei Presidente, in particolare negli ultimi mesi, abbia ignorato i segnali di preoccupazione che Le abbiamo trasmesso quanto al rispetto delle Istituzioni e delle procedure che ne costituiscono la garanzia. Non siamo stati i soli, a dire il vero. Pensiamo alle parole importantissime del Presidente Cassese ma anche alle sollecitazioni che sono giunte dal Parlamento, per bocca di autorevoli membri della maggioranza, che hanno evidenziato il mancato rispetto delle forme parlamentari e istituzionali. 
Potremmo a lungo argomentare su moltissime cose che ci hanno lasciati perplessi e che non abbiamo mai mancato di sottolineare: le modalità con le quali si è normalmente gestito il procedimento legislativo, le mancate convocazioni del pre- Consiglio, l'abitudine di governare con decreti legge trasformati in emendamenti ad altri decreti legge, l'utilizzo ridondante dello strumento del DPCM, l'eccesso di dirette a reti unificate durante la pandemia, l'utilizzo dei propri canali social personali rilanciati dalla televisione di Stato, la scelta di non assegnare l'Autorità delegata ai servizi segreti, la trasformazione in show del ritorno a casa di nostri connazionali rapiti in Libia quando è noto che le modalità di rilascio richiederebbero il piu rigoroso silenzio delle istituzioni (e men che mai le geolocalizzazioni dal telefonino dei bunker segreti), l'assegnazione costante alla stessa figura commissariale di tutti i principali centri di spesa legati alla pandemia e, in ultimo in ordine cronologico, la timidezza con cui si sono condannati i disordini di Washington e il loro mandante. 
Ma basti per tutti, Signor Presidente, l'immagine del 30 dicembre scorso quando- in piena verifica politica e dopo che avevamo sottolineato la necessità di un decoro diverso e di un maggiore rispetto delle Istituzioni — Lei ha ritenuto di non presenziare al dibattito in Senato sulla legge di Bilancio 2021 (legge che peraltro il Senato non poteva discutere ed emendare essendo arrivata a Palazzo Madama, per la prima e ci auguriamo ultima volta nella storia repubblicana, il 28 dicembre) ma di intrattenersi in conferenza stampa lanciando un guanto di sfida alle forze politiche di maggioranza in vista di un confronto parlamentare. Il tutto senza dare alcun cenno di risposta - men che mai scritta - a una lunga lettera circostanziata inviataLe dal nostro partito due settimane prima. 
Signor Presidente, se le altre forze politiche dell'attuale maggioranza, nonostante la loro storia, sembrano accettare la sistematica compressione del ruolo dell'istituzione parlamentare e la violazione delle tradizionali forme della liturgia democratica,noi non possiamo che prenderne atto.Possiamo altresì comprendere che la maggioranza dei cittadini possa non essere particolarmente interessata a temi di questo genere, Ma non possiamo ignorare che questa maggioranza era nata proprio per evitare la concentrazione di poteri in capo a una sola persona e ribadire il rispetto delle istituzioni democratiche. 
Il secondo tema è di merito.Questo Governo deve affrontare un'emergenza drammatica, legata alla pandemia. Ma non può essere soltanto l'emergenza a tenere in piedi il Governo: devono essere le scelte, gli atti, le riforme, i provvedimenti. Paradossalmente è proprio la necessità di rispondere alla pandemia che ci impone di assicurarci ora che l'esecutivo sia capace di prendere tempestivamente decisioni fondamentali per la vita del Paese. Stiamo ormai da qualche mese rinviando su tutto, Presidente: dalle infrastrutture su cui i commissari tardano a essere individuati, alle scelte sul lavoro e alle crisi occupazionali in attesa del drammatico momento che seguirà lo sblocco dei licenziamenti, dalla gestione della riapertura scolastica fino a importanti dossier fermi da troppo tempo: solo per fare degli esempi, quelli legati all'acciaio, alla rete unica, alle autostrade. 
In questi mesi abbiamo lavorato sui nostri settori di competenza, collaborando positivamente con altri colleghi di buona volontà: l'attenzione alla "filiera della vita" che ha funzionato benissimo durante i vari lockdown, l'investimento sul Family Act e la lotta alla crisi demografica, il paziente e talvolta oscuro lavoro dalla Farnesina ancorché privi di deleghe rilevanti. Ci abbiamo provato, Signor Presidente. Ma quando Le abbiamo chiesto di lanciare un programma da qui al 2023, di lavorare sulle idee e sui contenuti dell'azione di governo, la risposta è stata un assordante silenzio. L'Italia, ora più che mai, ha bisogno di crescita e non di immobilismo. Per affrontare l'emergenza il nostro Paese ha bisogno di una visione, non dell'approccio del giorno dopo giorno, con uno sguardo schiacciato su un eterno presente. In tutta coscienza, noi crediamo che l'Italia possa arrivare al 160% di debito sul PIL solo se a fronte di un vero progetto per il Paese. 
Se il Parlamento troverà dunque un modo per mandare avanti la legislatura anche senza il contributo di Italia Viva, daremo lealmente una mano dai banchi dell'opposizione. Abbiamo già detto che voteremo "sì" ai provvedimenti sull'emergenza sanitaria, sui ristori economici e sullo scostamento di bilancio. Non siamo irresponsabili, Presidente, ma non possiamo nemmeno accettare lo stallo. Specie in questo momento. 
Il terzo motivo è legato al PNRR, il "Recovery Plan". Abbiamo chiesto a luglio di dedicare a questo fondamentale passaggio una sessione parlamentare ad hoc senza ottenere, ancora una volta, alcuna risposta. E invece, all'improvviso, a dicembre, ci è stato consegnato nottetempo e senza alcuna discussione un testo che era inaccettabile tanto per il metodo - prevedeva infatti una lesione sostanziale delle competenze dell'esecutivo - che per il merito. Abbiamo lavorato a lungo per migliorarlo, ma molti temi sono rimasti aperti: l'impianto del "Recovery Plan" sulla giustizia è ancora di stampo giustizialista, le risorse sul turismo sono ancora insufficienti, non c'è consapevolezza del valore dell'economia sociale, la vaghezza di alcuni interventi — comprese la cybersicurezza e la riforma della P A — non consente di esprimere un giudizio compiuto in senso favorevole. 
Certo, ci sono meno bonus e più investimenti come avevamo richiesto: segno che non era un atto di irresponsabilità chiedere di approfondire l'analisi del testo. Ma la scelta di non accedere ai fondi del MES, quando la bozza del piano pandemico dice testualmente che se non ci sono risorse si dovrà fare una scelta tra le persone che hanno bisogno di cure, ci sembra assurda. Si può rifiutare di investire risorse immediatamente disponibili sulla sanità in piena pandemia? 
Signor Presidente, l'Italia è un Paese meraviglioso e i cittadini hanno risposto con straordinaria pazienza e grandissimo senso civico alla fase difficile che abbiamo vissuto. Ma non possiamo non constatare che oggi l'Italia registra i numeri più pesanti per ciò che riguarda la pandemia, che abbiamo il peggior dato del PIL nel 2020 in Europa e che abbiamo chiuso la scuola per più giorni di tutti gli altri Paesi. Non siamo purtroppo il modello che qualcuno vorrebbe poter raccontare. Siamo un Paese bellissimo, ma provato. Non ci sentiamo nelle condizioni di essere corresponsabili di uno spreco di energie e di risorse in un frangente storico destinato a ridisegnare il profilo del Paese per i decenni a venire. 
Le abbiamo chiesto, Presidente, di rilanciare sulla politica. Di cambiare stile istituzionale, di smettere di rinviare i dossier più importanti, di richiedere i fondi del MES per rafforzare la risposta alla crisi sanitaria. Davanti alla nostra richiesta di buona politica, siamo stati accusati di essere alla ricerca di incarichi. 
Per questo, Presidente, riteniamo di dover rinunciare ai nostri ruoli di Governo, per poter concretamente dimostrare che le richieste avanzate da noi e dal nostro partito per un cambio di metodo e le molte proposte di merito suggerite non avevano e non hanno alcun secondo fine, Il nostro obiettivo non è ottenere un incarico di Governo in più, ma avere un'azione di governo più efficace per gli Italiani. Se per uscire da questo immobilismo serve un atto di responsabilità, siamo i primi a compiere questo passo, augurandoci che possano cosi realizzarsi le condizioni per una nuova e diversa fase per il nostro Paese guidata da un Governo capace di rispondere prontamente ai bisogni dei nostri cittadini, famiglie ed imprese. 
Signor Presidente, la parola "potere" per noi è un verbo, non un sostantivo. Significa avere la possibilità di incidere sulla realtà intorno a noi, al servizio del benessere e della prosperità del nostro Paese. Se non c'è bisogno delle nostre idee e della nostra passione, se la nostra collaborazione e il nostro contributo non servono, la cosa più giusta da fare è restituire il nostro mandato, per sempre grati di aver avuto il privilegio di servire l'Italia. 
Con rispetto, Teresa Bellanova  
Ministra delle Politiche agricole alimentari e forestali
Elena Bonetti Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia 
Ivan Scalfarotto Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale