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Danilo Toninelli, così l'ex ministro ha scaricato tutto su Salvini: il verbale con i "non ricordo"

Tommaso Carta
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È il 12 dicembre 2020 quando Danilo Toninelli, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del primo governo Conte, viene chiamato a testimoniare a Catania nell'ambito del processo Gregoretti a carico di Matteo Salvini. Il lungo colloquio di Toninelli con giudice, pubblico ministero, difesa e legali delle parti civili viene sintetizzato dai media come una sequela infinita di «non ricordo», «non era una mia responsabilità», «non ero presente» ecc. Nei giorni successivi l'ex ministro delle Infrastrutture si scaglia contro i giornalisti accusandoli di aver spacciato come verità una «velina» della difesa di Salvini, parla di «pessima qualità dell'informazione» e sostiene di aver fornito, invece, risposte puntuali a ogni domanda. A distanza di un mese da quella testimonianza II Tempo ha avuto modo di visionare le 44 pagine del verbale inerente le risposte di Toninelli a Catania. Per scoprire come, in effetti, le «amnesie» dell'attuale senatore del Movimento 5 stelle siano state addirittura una quarantina, in particolar modo quando a dirigere l'interrogatorio è Giulia Bongiorno, già collega di Toninelli nel Conte I e, a Catania, nel ruolo di avvocato difensore di Salvini.

La linea del grillino è sostanzialmente quella di non aver avuto alcuna responsabilità nella decisione di vietare gli sbarchi dei migranti nell'attesa del via libera alla redistribuzione da parte de gli altri Paesi dell'Unione europea. Sostanzialmente, dice Toninelli, al suo ministero spettava soltanto il compito di indicare un porto sicuro per le varie imbarcazioni, ma la scelta di far scendere o meno i migranti dalle navi era in capo al solo Salvini. Peccato che, nella narrazione pubblica di quei mesi, fosse lo stesso Toninelli a ribadire un proprio ruolo di primo piano e a rivendicare il no agli sbarchi. Le prime amnesie dell'ex ministro grillino riguardano le «regole d'ingaggio» sui mi granti così come previste nel contratto di governo. Toninelli non ricorda quanto fu deciso in quella sede, «perché non fu una parte che mi competeva».

Non ricorda come sarebbe dovuto avvenire il «superamento del Trattato di Dublino» secondo la maggioranza giallo verde. Non ricorda il contenuto del «codice di condotta delle Ong» stilato dal predecessore di Salvini, Marco Minniti. Dice di non aver mai avuto informazioni «delle attività diplomatiche in corso ai fini della redistribuzione», anche se in una fase successiva dell'interrogato rio ammette i suoi contatti, in un'occasione, con l'omologo ministro spagnolo. Non ricorda di aver condivi soi post Facebook del presidente del Consiglio Giuseppe Conte in cui quest' ultimo chiedeva all'Europa di «battere in colpo» per accettare la redistribuzione dei migranti prima di dare il via libera agli sbarchi. Non ricorda, a proposito del «caso Sea Watch», di aver affermato «Non li faremo sbarcare finché la UE non batte un colpo». Non ricorda di aver detto «senza di me Salvini non avrebbe combinato niente», quasi a sottintendere un proprio ruolo decisivo nello stop agli sbarchi poi negato a Catania. Si potrebbe continuare a lungo.

Ma a colpire, nella testimonianza di Toninelli, soprattutto il tentativo di limitare le proprie responsabilità a quelle di un semplice «supporter» del governo. Toninelli sui social Ioda la politica dello stop agli sbarchi, ma quando a Catania gliene viene chiesto conto, lui riconduce tutto a una semplice condivisione «politica», che a suo avviso non può rientrare in una fattispecie penale. E quando, dai propri social, difende i «porti chiusi», fa tutto semplicemente parte di un «dibattito politico», espressione che l'ex ministro grillino riprende più volte, quasi a volersi raffigurare come un mero spettatore di quanto avveniva in quei mesi sulle coste italiane e non come un membro di primo piano dello stesso governo che condivideva le politiche di Salvini e lo difendeva dagli attacchi delle opposizioni e, in una prima fase, anche dai tribunali. Più che di smemorato definizione che a Toninelli non è piaciuta - si potrebbe parlare di leone da tastiera. Durissimo con i migranti sui social, assente (o ininfluente) in Consiglio dei ministri.

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