la vera storia del cts
Il bluff degli scienziati di Conte
È lei la numero uno del comitato tecnico e scientifico (CTS) che assiste Giuseppe Conte e Roberto Speranza, condizionando con le sue scelte la vita di tutti gli italiani da quasi un anno. Si chiama Elisabetta Dejana ed è una esperta del sistema vascolare, professore ordinario di Patologia generale presso l’Università di Milano e coordinatrice di un gruppo di 20 persone all’Istituto FIRC di Oncologia molecolare (IFOM). È una testimonial della associazione italiana per la ricerca sul cancro nonché ricercatrice di Telethon. All’estero la conoscono bene, perché vi ha lavorato a lungo e a pieno titolo possiamo definirla una «scienziata», uno di quei cervelli che l’Italia è riuscita a trattenere con orgoglio. Quando Conte e Speranza devono fare deglutire qualcosa che va di traverso agli italiani limitando ancora di più le loro libertà costituzionali come sta avvenendo da quasi un anno, deve essere a lei che pensano sostenendo: «Così hanno deciso gli scienziati». La Dejana lo è davvero, e infatti il suo h-index, l’indice che censisce per la comunità scientifica la rilevanza di uno dei suoi membri per numero di pubblicazioni e citazioni scientifiche, è alto: 109. Basti pensare che sommando l’h-index di tutti i 26 membri ufficiali del Cts si ottiene un misero 821, media di 31,5 a testa che nella comunità scientifica internazionale sarebbe ridicolo, da professorini alle prime armi ancora impegnati nelle scuole serali. Senza la Dejana la somma degli altri 25 sarebbe 712, la media scenderebbe a un h-index di 28,48 pro capite. Ma quella somma è dovuta a un altro componente del comitato, Franco Locatelli, direttore del dipartimento di oncoematologia del Bambino Gesù di Roma e presidente del Consiglio superiore di Sanità. Locatelli è l’unico altro membro del comitato ad avere un h-index superiore a 100, sia pure di poco: 101. Togliamo lui e la Dejana e il totale degli altri 24 componenti scende a 611, la media supera di poco il punteggio di 25 e la parola «scienziati» diventerebbe del tutto fuori luogo.
Non è così teorica quella sottrazione. Perché nelle 35 riunioni del Cts che si sono tenute fra il 20 luglio e il 20 novembre scorso la professoressa Dejana è risultata assente in 28. Il professore Locatelli in 14, e nessuno dei due era presente proprio quando si stavano adottando le decisioni fondamentali sui dpcm che abbiamo bene conosciuto in questi mesi.
Dunque noi siamo in mano a quello che ci viene descritto come il meglio della scienza italiana. Ma non è vero: quei 26 scienziati non sono, salvo qualche eccezione. Nessuno di fatto è esperto della materia che servirebbe: non c’è manco un virologo fra loro, nessuno verrebbe riconosciuto come scienziato fuori dai nostri confini. Hanno un h-index rispettabile oltre ai due casi segnalati (però troppo spesso assenti alle riunioni) pochi altri che vedete in queste pagine. Come Roberto Bernabei, geriatra (80), Massimo Antonelli, direttore della rianimazione del Gemelli (73), Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani (62) e il pneumologo Luca Richeldi (58). Gli altri componenti hanno indici assai più modesti. Nove di loro addirittura inferiore al 10.
Eppure non mancano professori esperti delle materie utili per combattere il coronavirus apprezzati da tutta la comunità scientifica. Ne cito qualcuno che vediamo ogni tanto in tv e si può mangiare in insalata qualsiasi membro di quel comitato: il professore Alberto Mantovani (h-index 171), il professore Giuseppe Remuzzi (164), il professore Carlo La Vecchia (138), e per le quote rosa le professoresse Silvia Franceschi (136) ed Eva Negri (116). In cinque fanno come tutto il Cts.
E infatti scienziati i membri del Cts obiettivamente non sono, ma hanno lo stesso in mano il destino di 60 milioni di italiani, il ruolo più delicato che si possa avere avuto in questi mesi in Italia. Non ne hanno nemmeno la coscienza però, altrimenti non farebbero tutte quelle assenze alle riunioni che i verbali sia pure con grave ritardo certificano. Il campione assoluto per senso del dovere è Giuseppe Ruocco, segretario generale del ministero della Salute. Non è uno scienziato: il suo h-index è 8, una miseria. Non è manco un furbetto del cartellino, perché manco finge di timbrare: in quelle 35 riunioni del Cts nel momento chiave della seconda ondata lui è risultato assente 35 volte. Non si comprende perché mai Speranza con un sussulto di dignità non lo abbia sollevato di peso ed escluso dal comitato dove non mette piede nemmeno virtualmente.
Sì, perché bisogna sapere che la stragrande maggioranza dei partecipanti alle riunioni lo fa in videoconferenza, dal telefonino o dal computer del posto dove si trova in quel momento. Visto l’onore di essere stati inseriti in quel consesso e la grave responsabilità che questo ha comportato in quest’anno, non è davvero accettabile che uno non si faccia nemmeno vedere a distanza. Eppure Ruocco si è dato 35 volte su 35, la Dejana 28 su 35, la giovanissima Nausicaa Orlandi (altra quota rosa su cui si era impuntato Conte) è risultata assente 20 volte, Locatelli 14 volte, Franco Maraglino 8 volte, Silvio Brusaferro 7 volte, Roberto Bernabei, Mauro Dionisio e Giovannella Baggio 6 volte. Altri hanno tagliato meno la corda.
Ma c’è un altro tema non meno irrilevante su quel comitato tecnico e scientifico che ha adottato le scelte più dure per gli italiani: non è affatto indipendente. Quasi la metà dei suoi componenti (12 su 26) dipende direttamente dalla presidenza del Consiglio dei ministri, e cioè da Conte, o dal ministero della Salute, e cioè da Speranza. Se entrasse in contrasto con loro rischierebbe il posto. Fra questi non abbiamo inserito Brusaferro, che pure guida l’Istituto superiore di Sanità dopo nomina governativa. E nemmeno Ranieri Guerra, che di indipendenza ne ha mostrata assai poca essendo stato protagonista del pressing sui vertici Oms per fare ritirare quel rapporto sull’Italia che aveva fatto aggrottare le ciglia al ministro Speranza. Ma è in queste mani che ci troviamo.