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Bellanova licenzia Conte: "Adesso voltiamo pagina"

Pietro De Leo
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Ministro Bellanova, lei ha affermato che l’esperienza del governo Conte è «al capolinea». Vuol dire che è pronta una sfiducia da parte vostra su questo governo o che bisogna cambiare impostazione?
«Vuol dire essere capaci di prendere atto della consunzione di questa esperienza e voltare radicalmente pagina. Tra le stesse forze politiche se si è capaci. Cinque settimane fa abbiamo impedito che un CdM approvasse praticamente al buio il commissariamento di Ministri, Regioni, Amministrazione pubblica, Parlamento, e si desse il via libera a un Piano le cui scelte anche la Commissione Europa avrebbe trovato discutibili. Questo è un Piano che influirà sulla vita di questo Paese nei prossimi decenni. Ed è da luglio che come Italia Viva sollecitiamo una discussione politica vera sulle scelte strategiche del Recovery. Per noi il tempo è scaduto. Conte ha il dovere della mediazione politica e della sintesi. E deve dire che idea di Paese ha, su quali scelte indebitare i nostri figli ed i nostri nipoti. Lo dobbiamo capire insieme se stiamo parlando di debito buono, per dirla alla Draghi, oppure di spreco enorme, imperdonabile, di denaro pubblico. Non è più tempo di meline, ma di sapere se si è disposti a correggere la rotta tenuta fino ad oggi, sia nel metodo che nei contenuti. Il Premier per primo dovrebbe prendere atto che questa esperienza è al capolinea e dirci quindi se siamo in grado di fare un restart. Per noi essere all’opposizione dai banchi del Parlamento non è un problema».
Eppure, Conte vi ha fatto delle esplicite aperture sulla modifica del piano Recovery. Cosa sta andando storto?
«C’è un punto dirimente: qui non si tratta di concedere qualcosa ma di costruire il futuro del Paese. E se non fosse stato per noi di Italia Viva questa discussione di merito non ci sarebbe stata. Parliamo di un Piano che vale almeno quattro finanziarie, impegnerà questa legislatura ed anche la prossima e determina un debito che peserà sui nostri figli. Le nostre 62 osservazioni di due settimane fa erano state fatte su un testo dettagliato di 124 pagine. Quello arrivato giovedì, cosiddette Linee di indirizzo, è di fatto una sintesi stringatissima che prelude a un nuovo documento. Che nessuno di noi ha, almeno voglio sperare che sia così per me come per gli altri. Non ho di conseguenza gli elementi per dare valutazioni definitive: ciò nonostante non rilevo quella discontinuità - di metodo e di merito - che avevamo chiesto e che considero essenziale».
Altro punto su cui Conte ha aperto è il rimpasto. Il rilancio sull’attività di governo non potrebbe passare per una nuova squadra?
«In ballo non c’è il destino personale di questo o quel ministro, ma il futuro del nostro Paese, la sua ripartenza dopo una pandemia che ha avuto sulla nostra economia, e avrà ancora per qualche semestre, gli effetti di una guerra mondiale. Se la nave va in una direzione non condivisibile, crede che basti sostituire qualche ufficiale? Forse meglio fermarsi un attimo, capire se ci sono le condizioni per costruire insieme la direzione e se può essere una direzione condivisa. Si chiama verifica politico-programmatica. Quella che chiediamo da mesi. L’unica sede in cui possono arrivare le risposte necessarie. Altrimenti, per quanto mi riguarda, da questa nave io scendo».
L’altro ieri Renzi si è detto «sconvolto» per il fatto che Conte non voglia cedere la delega ai servizi. È quello il vero punto dirimente della crisi?
«È uno dei punti. E tra i più rilevanti. Che abbiamo posto non nelle ultime settimane, dopo la vittoria di Biden, come strumentalmente qualcuno di corta memoria afferma, ma dall’ottobre 2019. Non abbiamo mai avuto risposte».
Italia Viva dice a Conte: «Ti aspettiamo in Senato». D’altro canto, però, il Pd sembra non volersi prestare all’appoggio ad un’operazione responsabili. Quanto è probabile uno scenario di questa maggioranza con un altro Presidente del Consiglio?
«Veramente è stato Conte, nella sua conferenza stampa di fine anno, ad annunciare che si sarebbe presentato in Senato, forse tentando di ripetere lo showdown del Conte I. Lì però c’era un vicepremier che pretendeva pieni poteri: qui c’è una forza politica responsabile che chiede qualità della sintesi e discontinuità nel solo interesse del Paese. È una differenza sostanziale. Non sono io alla ricerca dei cosiddetti responsabili. Questa domanda dovrebbe farla ad altri, magari gli stessi che sono a Palazzo Chigi».
E invece un governo con la partecipazione di tutte le forze politiche, per concretizzare alcuni obiettivi fondamentali?
«Non mi pare una soluzione praticabile. Direi che prima c’è da capire se questa maggioranza è capace di ricostruire rapporti di pari dignità per un patto programmatico, serio e dettagliato, di fine legislatura».
Zingaretti, però, sostiene che le elezioni siano un «rischio reale».
«Non è quello che serve al Paese. Se la pone come ipotesi, per noi non è un problema: in democrazia le elezioni non sono mai una minaccia. Il punto è non utilizzare l’eventualità come arma di ricatto. Noi non abbiamo paura e nulla da temere».
Con il senno di poi, quanto è stato un errore, nel 2019, aver incoraggiato molto la formazione di questo governo? In fondo, Renzi e Conte di lì in poi non si sono mai amati.
«Nessun ripensamento. Ricorda lo scenario dell’estate 2019? Salvini chiedeva pieni poteri e puntava all’apertura di una crisi extraparlamentare. Dare vita a questo governo è stato provvidenziale. Come avremmo affrontato la pandemia: come ha fatto Bolsonaro in Brasile o, peggio ancora, Trump negli Stati Uniti? Senza il sostegno dell’Europa, anzi totalmente isolati, in compagnia di Orban? No, nessun ripensamento».
 

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