In standby
Recovery Fund, retromarcia di Giuseppe Conte e Renzi congela la crisi di governo
Via la task force, la crisi di governo finisce in standby. Nel braccio di ferro tra Matteo Renzi e Giuseppe Conte, entrambi fanno un passo indietro, ma a conti fatti sembra essere il leader di Iv a segnare il punto, costringendo di fatto il premier alla retromarcia sulla governance piramidale e i 300 esperti.
Nella nuova bozza di Recovery plan consegnata alle forze di maggioranza durante la due giorni di '"consultazioni", il passaggio è sparito. Tanto chiedevano Renzi e le ministre, Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, che rivendicano il successo politico. "Finalmente il presidente del Consiglio ha preso atto che le nostre proposte sono positive e si inizia a discutere, numeri alla mano, nel merito, dei vari progetti. È un passo avanti". Non che il risultato sia dispiaciuto dalle parti di Pd e Cinquestelle, visto che pure i principali partiti della coalizione erano fortemente scettici sulla scelta di creare una struttura monstre che (quasi sicuramente) sarebbe entrata in conflitto con ministeri e ministri.
In fin dei conti, neanche all'ex "avvocato del popolo" va poi così male. Per come si erano messe le cose, non è da poco aver conservato il posto a Palazzo Chigi. Almeno per il momento. Perché la prudenza suggerisce di non spingersi troppo in là, prima di dare per archiviato il rischio di una crisi di governo. L'obiettivo, infatti, è portare in Consiglio dei ministri il nuovo Recovery plan entro il 30 dicembre, una volta approvata in via definitiva la manovra. Rispettando il timing, l'Italia si presenterebbe così a gennaio con i 'compiti' fatti, quando il Parlamento europeo dovrà compiere l'ultimo passo formale, l'approvazione del Regolamento del Recovery fund, prima che i Paesi possano presentare a Bruxelles i propri piani di spesa. Cosa che avverrà, presumibilmente, a febbraio. Renzi e i suoi, dunque, potrebbero anche non avere intenzione di ribaltare il tavolo in questa fase. Ma i problemi restano e rischiano di esplodere di colpo quando si dovrà parlare di temi divisi, a partire dal Mes.
Italia viva lo ripropone con forza anche nelle due ore e mezza di confronto con Conte. "Abbiamo posto una domanda: se nel nuovo documento continuano ad esserci solo 9 miliardi per la sanità, perché non si riflette sulla possibilità di utilizzare quei 37 miliardi, che hanno anche minori condizionalità rispetto al Recovery? - racconta Bellanova all'uscita da Palazzo Chigi --. È un quesito al quale pensiamo di dover avere una risposta". Dunque, è facile ipotizzare che, se il bubbone dovrà scoppiare, sarà in un futuro non troppo lontano. E alla fine di un lento logoramento, dell'esecutivo e del suo presidente del Consiglio. Sul Mes, infatti, il Pd non ha cambiato idea, così come il M5S non ha alcuna intenzione di abbassare il muro. Andando avanti così per qualche mese, all'inizio del 2021 basterebbe una semplice mozione in Parlamento ad accendere la miccia.
Le prossime settimane, dunque, serviranno a costruire le basi per evitare il peggio. Ma, per dirla con le parole di Renzi, "la palla è nelle mani del premier, dipende solo da lui". E non sarà affatto facile, per Conte, fare la sintesi di posizioni diametralmente opposte, senza rischiare di scontentare almeno una delle forze di maggioranza, quando i numeri in Parlamento sono quello che sono. Questo, però, è un film ancora tutto da scrivere. Prima c'è da portare a casa il Recovery plan, che avrà una forma molto più snella di quella ipotizzata in origine.
"Attualmente abbiamo 52 progetti, ma saranno ancora razionalizzati e resi coerenti", rivela Amendola. Facendo esultare Leu, che infatti chiede di avere "pochi progetti ma molto incisivi, che possano realmente cambiare la vita dei cittadini". Aumentando le risorse alla sanità, ovviamente. Nei prossimi giorni arriveranno a Palazzo Chigi le proposte delle forze di maggioranza, poi sarà tempo di tirare la riga e chiudere. E in ballo non ci sono soltanto i 209 miliardi dei fondi Ue.