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Libia, la verità sul blitz di Conte a Bengasi: non vuole lasciare la delega ai servizi segreti

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Riccardo Mazzoni
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Il viaggio lampo di Conte a Bengasi non è stato solo l’improvvido tentativo scenografico di accreditarsi come l’artefice della liberazione dei pescatori sequestrati, allestendo un grottesco show natalizio in stile Grande Fratello: il significato vero del blitz era il messaggio recapitato a Renzi (e al Pd) per dimostrare che la sinergia esclusiva tra lui e gli 007 è un asset che funziona perfettamente, e che quindi non c’è alcun motivo per cui il premier debba consegnare in altre mani la delega ai servizi segreti.

Sono ormai due anni e mezzo che Conte quella delega se la tiene stretta, a differenza dei suoi predecessori, tranne la brevissima eccezione del governo Gentiloni. Ma perché tanta ostinazione? I motivi devono essere molteplici e corposi, visto che negli ultimi mesi il premier non ha esitato a entrare in conflitto – su una questione cruciale per la sicurezza dello Stato – col Copasir e perfino col suo governo. Conte, insomma, si è sempre mosso come un elefante nella cristalleria in questo ambito delicatissimo che presupporrebbe invece cautela, discrezione e prudenza, muovendosi a colpi di blitz e di forzature.

A inizio agosto tentò di modificare i criteri di nomina dei servizi inserendo di nascosto una norma nel decreto sulla proroga dello stato d’emergenza per mettere tutti davanti al fatto compiuto ricorrendo alla questione di fiducia alla Camera. Gli era bastato modificare quattro paroline alla legge del 2007 per garantire ai vertici dell’intelligence italiana la possibilità di rinnovo dell’incarico per altri quattro anni: “Al fine di garantire, anche nell’ambito dell’attuale stato di emergenza epidemiologica dal Covid-19, la piena continuità nella gestione operativa del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica… sono apportate le seguenti modificazioni: le parole ‘per una sola volta’ sono sostituite dalle seguenti: ‘con successivi provvedimenti per una durata complessiva massima di ulteriori quattro anni’. Così l’avvocato del popolo, nonostante dubbi, perplessità e mugugni anche della maggioranza, è riuscito a riformare l’intelligence consentendo la conferma di Parente alla guida dell’Aisi, l’Agenzia informazioni e sicurezza interna.

E visto che gli era andata bene la prima volta, Conte ora ci ha riprovato, usando lo stesso metodo e la stessa spregiudicatezza, anche col progetto della fondazione sui servizi segreti, inserendolo in un emendamento alla legge di bilancio. Questa volta lo ha bloccato Renzi, sfidandolo apertamente durante un durissimo intervento nell’aula del Senato, minacciando di sfiduciarlo se fosse andato avanti. Ma a cosa dovrebbe servire questo Istituto italiano per la Cybersicurezza? Prima di tutto “promuovere l’acquisizione di competenze e capacità tecnologiche, industriali e scientifiche nazionali nel campo della sicurezza cibernetica e della protezione informatica”. E poi “favorire un maggiore sviluppo di queste tecnologie da parte del sistema produttivo del Paese”. Lo sviluppo della tecnologia 5G ha reso necessario approfondire i movimenti di uno spionaggio economico sempre più sofisticato, che porterà – secondo molti analisti – a una vera e propria guerra geopolitica, peraltro già in atto, tra Stati Uniti e Cina, dalla quale dipenderà il controllo delle grandi infrastrutture strategiche.

Il Copasir se ne occupa da tempo, ed è già intervenuto, ad esempio, per segnalare la pericolosità dalla deroga - prevista nel decreto Cura Italia - alle regole per l’affidamento della digitalizzazione dei dati della pubblica amministrazione che potrebbe determinare l’ingresso in Italia di colossi stranieri, soprattutto cinesi, mettendo a rischio la sicurezza nazionale, compresi i comparti di assicurazioni e banche.

Per questo, per gestire questi mutamenti globali, sarebbe necessaria una solida cabina di regia, che passa prima di tutto dalla nomina urgente di un’autorità delegata esclusivamente alla sicurezza del Paese, perché l’esperienza di questi mesi drammatici dimostra plasticamente che il premier non può affrontare emergenza sanitaria ed economica e allo stesso tempo gestire dossier cruciali per la sicurezza del Paese come il Golden Power. Non sono tempi da uomo solo al comando, ma Conte resisterà fino all’ultimo per tenersi la delega ai servizi. Forse non è lontano dalla realtà chi insinua che il disegno del premier sia quello di creare una maxicordata negli “interna corporis” dello Stato alle sue dirette dipendenze per farne poi l’asse portante del suo nuovo partito.

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