Coronavirus, sempre più poveri tra noi. Ma sono i politici gli unici, veri invisibili
Ci sono i nuovi poveri che preferiscono il sacerdote di quartiere alla mensa della Caritas. Poi ci sono quelli che prendono il coraggio a due mani e alla Caritas ci vanno anche se non vorrebbero essere riconosciuti da chi passa da quelle parti.
Ma chi fa più rabbia sono gli invisibili: quei politici, di tutte le risme, che restano senza parole e non ne spiaccicano neppure una di fronte ai dati terribili denunciati ieri proprio dalla Caritas.
Eravamo abituati alle file di immigrati a chiedere un piatto di pasta. Ora la metà di quelle lunghe code è rappresentata dai nostri connazionali, perché ci si è messa pure la pandemia a togliergli i soldi per mangiare, per l’affitto, per le bollette. Altro che 209 miliardi dell’Europa. Qui, nella Capitale d’Italia, dilaga la povertà e per fortuna che c’è la Chiesa, con i suoi parroci e lo straordinario volontariato che riesce a mobilitare tante persone per aiutare gli ultimi.
Domanda lungi da una polemica che sarebbe fine a se stessa: ma dov’è la politica? Che fine hanno fatto, di fronte ai numeri impietosi della Caritas, Nicola Zingaretti e Virginia Raggi? Il loro silenzio è indifferenza o impotenza? E chi si oppone ai governi locali in quale pianeta dell’emisfero si trova?
Se a Roma ci sono ottomila nuovi poveri – come testimoniano le cronache di oggi del nostro giornale – che si aggiungono ad altre decine di migliaia di persone in grave difficoltà, i silenzi di chi deve decidere sono inaccettabili.
Perché manca un piano della sofferenza sociale. Non si comprende chi se ne deve occupare. Chi sa come si identifica una persona povera? Di che cosa ha bisogno? Chi glielo deve garantire? Quanto costa? Chi paga? Domande che vanno accompagnate da risposte istituzionali serie.
Si smettano i battibecchi quotidiani sui social e ci si cimenti sulle misure da adottare rispetto all’emergenza povertà. Che di qui a qualche ora riguarderà anche il fattore freddo, tanto per non farci mancare nulla.
“Troppi poveri e meno servizi. Roma non ha un progetto serio”. La frustata è arrivata dal vescovo vicegerente della Diocesi di Roma, monsignor Palmieri. “Il dramma dei senza dimora, meno posti letto nei ricoveri, impossibilità di fare accoglienza in sicurezza, chiusura e ridimensionamento dei servizi sociali”: il quadro è drammatico. A Roma sono 14mila i nuclei familiari in graduatoria in attesa di un alloggio. Chi gliela deve dare la casa a questa gente? Quando finirà la loro attesa? O l’alternativa deve ancora oggi essere rappresentata dalle occupazioni fuorilegge?
Ai rappresentanti delle istituzioni deve essere chiara una cosa: se un romano su dieci non sa come far fronte neppure alle bollette, la miccia è pronta ad esplodere. Riguarderà l’altro novanta per cento e non ce ne sarà per nessuno. Muoversi per tempo è il dovere di tutti quelli che hanno il potere di decidere. Non può essere solo la Chiesa, con il suo mondo solidale, ad occuparsi chi non riesce ad andare avanti.
Ancora pietre lanciate da monsignor Palmieri: "La risposta della città è stata contraddittoria: grande solidarietà da parte di molti settori della società civile, preoccupante e dannosa disorganizzazione da parte dei soggetti istituzionali". E "la competizione politica rischia di lasciare troppe vittime per strada". Un altro dato? Nelle tre mense Caritas di Roma, Colle Oppio, via Marsala e Ostia, tra marzo e settembre si sono resi necessari quasi 240mila pasti, 185mila l’anno prima. Possiamo immaginare che sia più importante spendere soldi per dare da mangiare che per circolare in monopattino?
Possiamo auspicare almeno una seduta del consiglio comunale e di quello regionale per varare misure che si occupino finalmente – e concretamente – della povera gente? Partendo magari proprio dai nostro connazionali. Nessuno vuole trascurare lo straniero, ma ai figli nostri le istituzioni ci devono pensare prioritariamente, mettendo magari assieme quattrini che aiutino anche lo straniero. Ma quelle postazioni le manteniamo tutti noi.