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Vaccino, se Crisanti dice no Conte ora deve spiegarci

Franco Bechis
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Da mesi lo conosciamo perché spunta in ogni trasmissione tv. Il professore Andrea Crisanti è diventato a torto o ragione uno dei guru del coronavirus, assai ascoltato anche perché durante la prima ondata era in Veneto e la sua ricetta (tamponi e tracciamento di massa) funzionò. Non è mai stato uno del fronte ottimista, e sembrava anche un pizzico menagramo questa estate quando tutto sembrava alle spalle e lui diceva di no e che bisognava fare tamponi e tracciamento per almeno 300 mila italiani al giorno altrimenti la seconda ondata ci avrebbe travolto. Aveva ragione lui pure questa volta.

Ieri il professore Crisanti ci ha letteralmente raggelato. Da più di una settimana nel mondo si è fatta assai concreta la possibilità di avere in mano l’arma decisiva per sconfiggere il coronavirus: il vaccino. L’ha annunciato la Pfizer in due tempi sostenendo che sarebbe efficace nel 95% dei casi. Lo ha annunciato anche Moderna, e l’efficacia sarebbe del 94,5%. Sarebbero a buon punto anche le sperimentazioni delle altre case farmaceutiche che lo stanno mettendo a punto da mesi. Ad ogni annuncio è seguita la corsa un po’ impazzita delle istituzioni a firmare contratti per prenotarne quante più dosi possibili. Non sono ancora disponibili, ma in Italia abbiamo già il solito ineguagliabile commissario alla chiacchiera, Domenico Arcuri che illustra i suoi piani per distribuirlo sul territorio nazionale. Potrebbe essere il primo atto della grottesca commedia del flop cui Arcuri ci ha abituato dal primo giorno, non avendone mai azzeccata una. Ma almeno simulando la distribuzione di dosi che non esistono non si può dire questa volta che il commissario si sia mosso in ritardo.

Quando un pizzico di ottimismo stava prendendo un po’ tutti nella speranza di uscire dal tunnel, eccoti il professore Crisanti metterci a 80 gradi sotto zero come i vaccini Pfizer con poche parole. Professore, adesso che arriva, farà il vaccino? Nossignori, Crisanti quel vaccino non intende proprio iniettarselo . E ieri ha spiegato il suo no così: «Normalmente ci vogliono dai 5 agli 8 anni per produrre un vaccino. Per questo, senza dati a disposizione, io non farei il primo vaccino che dovesse arrivare a gennaio. Perché vorrei essere sicuro che questo vaccino sia stato opportunamente testato e che soddisfi tutti i criteri di sicurezza ed efficacia. Ne ho diritto come cittadino e non sono disposto ad accettare scorciatoie».

Se non è sicuro Crisanti - che non è un no vax e tanto meno un negazionista - di quei vaccini, come facciamo ad esserlo noi cittadini comuni che non abbiamo né la conoscenza né i criteri minimi per giudicare l’affidabilità di quello che esce da Pfizer piuttosto che da Moderna o Astrazeneca? Il professore che va sempre in tv può spiegare il suo scetticismo: «questi vaccini sono stati sviluppati saltando la normale sequenza Fase 1, Fase 2 e Fase 3. Questo è successo perché hanno avuto fondi statali e quindi si sono potuti permettere di fare insieme le tre fasi perché i rischi erano a carico di chi aveva dato i quattrini. Ma facendo le tre fasi in parallelo, uno si porta appresso tutti i problemi delle varie fasi».

Sono parole pesanti in un momento così. Se le ha dette con leggerezza e senza fondamento, togliete qualsiasi microfono a Crisanti. Se invece sono considerazioni ponderate e gli stessi dubbi albergano nei pensieri di altri professori e scienziati, non possono essere lasciate scivolare nel nulla dal governo italiano come dalle istituzioni internazionali. Se quei vaccini non sono abbastanza sicuri - e già troppi sono i dubbi che circolano (non ultimi quelli provocati dai vertici Pfizer che hanno venduto le loro azioni il giorno dell’annuncio) - non si può partecipare alla corsa all’accaparramento delle dosi senza avere certezza della sua efficacia e una statistica attendibile sulla esistenza o meno di reazioni avverse.

Da mesi questo paese è nelle mani di un gruppo di persone che vengono chiamate «scienziati» anche se questa patente se la sono data un po’ da soli. Sono loro - il comitato tecnico scientifico - ad avere inventato l’algoritmo che mette insieme i 21 dati in base ai quali scatta il semaforo rosso o arancione delle chiusure. Un lavoro da ingegnere informatico di Google o Facebook, non da comitato medico, e non è ben chiaro perché sia toccato a loro che non dovrebbero sapere quasi nulla della materia. Sempre quel gruppo di persone ha vergato i protocolli grazie a cui sono state riaperte molte attività produttive. Dopo pochi mesi le hanno chiuse perché evidentemente i protocolli hanno fallito. Hanno stabilito le regole per stare a scuola in sicurezza, e con quelle precauzioni la popolazione scolastica è stata campione italiano di virus: nessuno si è infettato come loro. Potrei continuare l’elenco, che comprende ampie responsabilità altrui nel fallimento cui stiamo assistendo. Per carità di patria mi fermo. Prima di partire con la vaccinazione di massa in Italia solo per fare vedere che siamo bravi e belli, qualcuno deve pure dare una risposta a questi dubbi di Crisanti. E non può essere argomento di un dibattito televisivo. Ci vuole un vero comitato scientifico, composto da virologi, esperti di epidemie e infezioni, rianimatori e clinici di chiara fama scientifica, non quello attuale variopinto in cui solo uno o due membri rispondono a queste caratteristiche. Se si deve correre, questa è la prima urgenza che dovrebbe avere il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Altrimenti finirà nello stesso modo della applicazione Immuni: pochissimi in Italia accetteranno di usare quei vaccini (secondo i sondaggi oggi solo uno su quattro), e con il virus e i suoi drammi dovremo fare i conti a lungo. 
 

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