Commissario Calabria, chi c'è in pole. E il piano Covid ancora non c'è
Dalle inchieste di Mani pulite ai conti della sanità calabrese, passando per una lunga esperienza manageriale. Il curriculum di Federico D’Andrea è in cima alla lista del governo, che nelle prossime ore dovrà prendere una decisione sul nuovo commissario per il ripianamento dei conti di una delle regioni strategiche del Mezzogiorno.
Ex finanziere, nella prima metà degli anni Novanta porta a termine un enorme lavoro per scoperchiare i vasi di Pandora della corruzione italiana, prima a stretto contatto con il pool della Procura di Milano, poi con Francesco Saverio Borrelli. D’Andrea per ora non è stato contattato né ha ricevuto offerte ufficiali (o ufficiose), ma ha anche una buona esperienza come manager, potendo vantare esperienze di rilievo in Telecom Italia, Olivetti, Amsa, Metropolitane Milanesi, Bpm, Fondazione Fiera e A2A. Attualmente lavora con il sindaco Beppe Sala nella commissione Trasparenza del Comune di Milano. Ma il suo sangue è calabrese, della provincia di Cosenza, e alla sua terra non potrebbe dire di no. Come accaduto, invece, a Giuseppe Zuccatelli e, soprattutto, al rettore uscente della Sapienza, Eugenio Gaudio, che ha rinunciato (dice) per l’indisponibilità della moglie a trasferirsi a Catanzaro. Sebbene la responsabilità della scelta del cattedratico se la prenda in toto il premier, Giuseppe Conte.
A favore di D’Andrea gioca anche un altro fattore: l’impossibilità di attribuirgli un’appartenenza politica. Ma quello dell’ex ufficiale della Gdf non è il solo nome a circolare, perché in lizza sembrerebbe esserci anche l’ex commissario di Roma, il prefetto Francesco Tronca. Anche lui calabrese e iscritto - ad honorem - nella lista ideale delle ’risorse' di Stato. Negli ambienti di maggioranza assicurano che la scelta verrà presa molto presto, anche perché il prossimo commissario, tra i vari compiti, dovrà preparare il famigerato Piano anti-Covid che è costato il posto al generale Cotticelli, non sapendo (ipse dixit) di doverlo redigere di suo pugno.
Finora, infatti, nessuno ci ha pensato, come denuncia il presidente facente funzione della Regione Calabria, Antonino Spirlì, in audizione davanti alla commissione Affari sociali della Camera. Il governatore pro-tempore prova a convincere i deputati che «lo strumento commissariale sia giunto alla fine e sia arrivato il momento di riconsegnare ai calabresi la possibilità di potersi amministrare da soli». Il decreto Calabria, però, esiste e va rispettato, nonostante «al capo 1 prevede una serie di misure particolarmente invasive delle competenze regionali», lamenta ancora Spirlì. Che parla di un «contenuti ancora più mortificanti» dal nuovo regime commissariale, avanzando la proposta di rinviare la nomina a dopo le elezioni regionali e avviare una «gestione condivisa» tra Stato e Regione della sanità. Con dettagli diametralmente opposti, domani una delegazione di sindaci calabresi, iscritti ad Anci, andrà a dire la stessa cosa a Conte, in un incontro programmato a Chigi per le 15.
Mezz’ora prima, invece, 60 fasce tricolore della stessa terra daranno vita a un sit-in pacifico e nel pieno rispetto delle regole di contenimento dell’epidemia. Chissà se si parlerà anche di rivedere il sistema di competenze, come dice anche il primo cittadino di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, che spera in un ritorno della sanità nelle mani dello Stato (con tanto di benedizione del ministro del Sud, Giuseppe Provenzano). Di sicuro a fine pandemia se ne parlerà, ma nel frattempo il governo dovrà chiarire il ruolo di Gino Strada e di Emergency. L’accordo firmato con la Protezione civile calabrese servirà a dare una mano nella fase di emergenza, forse per l’allestimento di ospedali da campo. Manca, però, un piano preciso e questo problema andrà risolto a stretto giro di posta. Magari con il nuovo commissario alla sanità, ma guai a parlare di ’tandem’.