Il retroscena
L'Italia di Giuseppi è sempre più isolata. E il Quirinale perde la pazienza
Caro direttore, Sergio Mattarella sa bene, oramai, che la tempesta perfetta sul governo Conte sta per arrivare non solo per la gestione della pandemia ma anche per il colpevole sfilacciamento dei rapporti con le capitali che contano: Washington, Parigi, Berlino e Bruxelles. E sullo sfondo Istanbul, con l’offensiva che Erdogan sta per scatenare sulla Libia.
Il Quirinale lo sa talmente bene che sta spingendo, in tutti i modi, per un cambio di passo nel timore di essere coinvolto in questo caos che non risparmia più nessuno e che può sfociare in tensioni sociali.
Eppure Giuseppe Conte continua a infilare clamorosi autogol che indeboliscono ulteriormente la sua credibilità: "Giuseppi", disperato orfano di Donald Trump - infatti è stato l’ultimo leader a congratularsi con Joe Biden - pensando di fare l’ennesima furbata ha invece addentato una polpetta avvelenata convinto di ingraziarsi Forza Italia: alla fine però ha finito per far infuriare tutto il Partito democratico, gran parte dei Cinque Stelle e addirittura pezzi del centrodestra. Una polpetta confezionata con ogni probabilità dal tandem grillino Patuanelli-Buffagni per un emendamento che alla fine, anziché favorire l’azienda oramai ad un passo dall’accordo con i francesi di Vivendi, ha finito per scatenare una polemica feroce con la Francia e la Commissione Ue contro il Governo.
Il risultato più probabile se l’emendamento non verrà ritirato a passo di corsa, oltre alle sanzioni comunitarie monstre, sarà che, entrando in fibrillazione l’azionariato di Tim in combinato con le «pruderie» dell’Enel di Francesco Starace, il progetto della Cassa depositi e Prestiti per la rete unica subisca un gravissimo ritardo.
Una bella grana sul fronte dei rapporti economici e le partnership industriali ma è nulla rispetto a quello che sta avvenendo sulle nostre coste dopo che i turchi hanno deciso un’accelerazione sul fronte libico. "Al mio segnale scatenate l’inferno", sembra aver ordinato Erdogan ai suoi. Il sultano sa che deve approfittare della confusione che regna a Washington per concludere l’operazione Libia prima che si insedi Joe Biden, il quale lo vede come fumo negli occhi. Trump invece era più interessato a Israele e Medio Oriente e ha lasciato fare, tanto che a Tripoli sono arrivati all’aeroporto Mitiga mezzi sofisticati con contractors siriani organizzati dal MIT (Milli Istihbarat Teşkilati), il Servizio segreto turco fondato da Mustafa Kemal Ataturk. Ankara non solo ha oramai il controllo di Misurata e della Tripolitania ma si sta spingendo verso il sud forte anche di un accordo con i Fratelli Musulmani, il cui uomo di punta è l’attuale ministro dell’interno e probabile futuro Premier Fathi Bashagha, un ex pilota militare. E per destabilizzare il Mediterraneo, passo obbligato per il Governo turco è il via libera a un’immigrazione di massa come si sta vedendo in queste ore, con le ONG già pronte a raccogliere in mare migliaia di disperati in fuga.
E l’Italia in questo scenario? Non pervenuta, naturalmente. Ormai la capitale per i negoziati libici è solo Berlino e gli accordi per il cessate il fuoco e nuove elezioni il 24 dicembre 2021 sono esercitazioni di inutile diplomazia nonostante gli sforzi dei 75 partecipanti al Forum di Dialogo politico libico, iniziato lunedì scorso a Tunisi sotto gli auspici dell’inviata Onu, Stephanie Williams.
Per l’Italia un vero scempio aver lasciato la Libia al suo destino. Restano aperti l’ambasciata di Tripoli, ma senza indicazioni, la grande Eni di Enrico Mattei, ridotta ad un mero ruolo commerciale visto che ancora regge la rete di approvvigionamenti domestici e i nostri Servizi, senza ordini né indicazioni da Palazzo Chigi. Nonostante a capo dell’AISE sieda un generale apprezzato come Gianni Caravelli, già Capo dell’unità di consiglieri nell’ambito della "United Nations Assistance Mission in Afghanistan" e Consigliere militare del Rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite. Ma è risaputo, Conte tiene stretta a sé la delega ai Servizi e ama confrontarsi solo con il suo fidato amico Gennaro Vecchione, capo del Dis, in scadenza nelle prossime settimane. Pare che pur di ottenere la sua riconferma sarebbe disposto a cedere la sua delega a un suo fedelissimo, il sottosegretario al CIPE Mario Turco anziché a Marco Minniti, Vincenzo Amendola o Luigi Zanda come suggeriscono Quirinale e PD. È proprio il caso di dire "mamma li turchi".