il premier trema
Occhio al partito del vaffa. Paragone inchioda Conte & Co.: certe parole tornano indietro
Oggi dunque Conte si presenta al parlamento nel disperato tentativo di buttare la palla in tribuna. Distribuirà pagelle a destra e a manca: dalle Regioni alle opposizioni, passando per i cittadini, troppo indisciplinati nelle sere d’estate. Ovviamente allargherà le braccia e guardando metaforicamente Macron, la Merkel e compagnia varia troverà la frase perfetta: «Lockdown? Purtroppo lo fanno tutti e non ne possiamo fare a meno».
Togliamoci subito un dente: le Regioni hanno delle colpe enormi; la mia per esempio - la Lombardia - è in uno stato confusionale incredibile. Ma che il governo possa dare la colpa ad altri è davvero il colmo.
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Per mesi abbiamo sentito dire da Conte che siamo stati bravissimi a gestire l’emergenza, che gli altri Stati ci chiedevano i protocolli, che la Commissione ha scritto il Recovery Plan quasi sotto nostra dettatura, che la ripresa italiana sarà sorprendente, e via di questo passo. Non una sincera critica da parte di ministri incapaci e arroganti, i cui danni non sono diversi da chi agisce in malafede: lo scrittore Speranza sulla gestione della Sanità in appalto a litigiosi Cts; la Azzolina (sempre in affanno se le parli del suo concorso) sulla scuola; la De Micheli (penosa sulla vicenda Atlantia/Benetton) sulla deleteria gestione del trasporto pubblico; e poi la Lamorgese, Patuanelli, la Catalfo, Franceschini, Di Maio. E relativi vice.
Le parole «coprifuoco» e «lockdown» tornano dunque a essere il solo salvagente che il governo abbia in dotazione. Siamo tornati alla casella del via per manifesta incapacità e pure per irresponsabilità pregresse. E non dovevamo tornarci, perché ci avevano detto che «Andrà tutto bene» e noi italiani - tra comitati, esperti, ville Pamphili e spacconate varie - eravamo garantiti da un governo casalineggiante. Col cavolo! Se oggi si richiude la colpa loro! Loro coi poteri dello stato di emergenza, loro coi segreti, loro con le riunioni carbonare.
Siamo nelle mani di supercommissario - Arcuri - che impedisce la pubblicazione degli atti sui bandi Covid quindi la massima trasparenza (con che faccia si permette di fare la morale alle Regioni?). Abbiamo dpcm, decreti, leggi delega e voti di fiducia a pioggia; soldi a Fca, Luxottica e Angelini farmaceutica per produrre mascherine; abbiamo il pastrocchio Mps/Profumo/Unicredit/Padoan con tutto quel che ne consegue (spesso con soldi dei contribuenti).
E soprattutto abbiamo una piazza, disperata e rabbiosa perché anche le prese per i fondelli hanno un limite. Mentre infatti qualcuno si eccita a parlare di rimpasti, di secondi o terzi mandati, i ristoranti e i bar chiudono anzitempo con il marchio di untore, nei teatri si abbassa il sipario e dio solo sa come e quando si alzerà, nei negozi fanno i conti con la marce in magazzino parcheggiata e con il pagamento dei fornitori spesso fatto con titoli posticipati che ora rischiano di essere protestati. Sullo sfondo le multinazionali fanno i bagagli (Whirlpool) o allontanano i lavoratori che protestano (Arcelor-Mittal), e i relativi ministri Patuanelli/Catalfo fanno le belle statuine a Roma.
La vita reale di chi lavora senza garanzie o paracadute fa la gimcana tra burocrazia, pressing delle banche, agenzia delle entrate, concorrenza spietata dei Padroni dell’e-commerce, affitti e bollette da pagare e via di questo passo. Chi non è protetto dal pubblico impiego oggi è disposto a scendere in piazza e a urlare per farsi vedere e sentire. Tirare a campare stavolta può essere pericoloso, per un governo retto da una forza nata al grido del «Vaffa!». Certi motti tornano indietro e fanno male.