lockdown mirati
Dpcm, chiudono le città. Roma rischia, stop agli spostamenti tra le Regioni
Lockdown mirati nelle aree più a rischio con l’ombra di un’imminente chiusura nazionale generalizzata. Lo scenario che nessuno auspicava e che solo un mese fa sembrava fuori da qualsiasi orizzonte, si avvicina a grandi falcate. Domani, infatti, il premier Giuseppe Conte dovrebbe licenziare l’ennesimo Dpcm per aumentare le restrizioni sull’intero territorio nazionale. Tutti i provvedimenti messi in campo finora - dall’obbligo di mascherine all’aperto alla chiusura di anticipata di bar e ristoranti - non hanno sortito l’effetto sperato. Il Covid continua a correre impetuosamente - ieri altri 31mila nuovi casi con una percentuale di oltre il 14% di nuovi positivi sui tamponi effettuati - e per il capo del governo è arrivata l’ora di dare un’altra girata di chiave alla vita degli italiani.
Le ipotesi sul tavolo dell’esecutivo al momento sono diverse. La principale riguarda l’istituzione di zone rosse nelle aree maggiormente colpite, a partire dalla Lombardia (e Milano in particolare) e dall’area metropolitana di Napoli (ma anche Roma e Torino sono a rischio). Una serie di lockdown «mirati» che rispetterebbero quel grado di «proprozionalità» da sempre indicato da Conte come faro della sua azione. Ma si parla di ulteriori restrizioni anche a livello nazionale: orari ancora più ridotti per le attività di somministrazione, chiusure per una serie di attività commerciali, passaggio alla didattica a distanza per tutte le classi superiori alla seconda media, blocco degli spostamenti tra le regioni.
C’è, però, anche chi non esclude un lockdown «light» su tutto il territorio italiano. D’altronde il quadro «statistico» dell’epidemia parla chiaro. L’indice Rt è salito all’1,7 a livello nazionale, e solo poche regioni sono ormai sotto la soglia dell’1,5. Il confine, cioè, tra lo scenario 3 e lo scenario 4 nelle tabelle del ministero della Salute. In pratica, undici regioni su venti sono ormai considerate ad alto rischio dal Cts. Con un simile grado di contagiosità, il sistema sanitario non può reggere più di tre o quattro settimane senza chiusure che interrompano la catena del virus.
Che la situazione stesse virando in un quadro ulteriormente negativo lo si era intuito già in mattinata, quando il premier - alla festa del quotidiano «Il Foglio», non aveva più ipotizzato di aspettare un paio di settimane prima di altri interventi per verificare l’effetto delle ultime misure varate. Tutt’altro, ieri Conte aveva detto che «studieremo i dati per capire se c’è bisogno già da adesso di nuove restrizioni».
Nel pomeriggio è stato convocato d’urgenza a Palazzo Chigi il Comitato tecnico scientifico. E l’allarme deve essere risuonato forte se mentre l’incontro era ancora in corso era già trapelato il «calendario» delle riunioni che condurranno alla nuova stretta. Oggi il premier incontrerà nuovamente il Cts, i ministri Francesco Boccia e Roberto Speranza, i capidelegazione in Cdm e i capigruppo di maggioranza.
Poi, una volta tracciato lo schema del Dpcm, il premier lo «presenterà» in Parlamento domani mattina, mentre in serata il provvedimento sarà ufficialmente varato. Resta invece in forse la «cabina di regia» con le forze parlamentari che avrebbe dovuto coordinare stasera il ministro della Salute Speranza e che avrebbe dovuto coinvolgere anche le forze d’opposizione. Una novità non gradita al centrodestra: «Le nostre proposte sono in Parlamento - hanno scritto in una nota congiunta Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi - è lì che se ne deve discutere e non ci prestiamo ad altri e tardivi giochi di Palazzo». Conte, che sperava in questo nuovo strumento per condividere il più possibile la responsabilità di misure sempre più impopolari, rimarrà deluso.