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Decreto Ristori, resta fuori tutta la filiera della somministrazione. E gli esclusi battono cassa
C’è un aspetto non secondario che emerge nella linea seguita dal governo sui ristori. E riguarda lo sdegno di quelle rappresentanze di impresa che, nelle scorse ore, hanno lamentato di esser state escluse dal Dl ristori. Si tratta di settori collegati a quelli immediatamente coinvolti dalle chiusure. Segno che, a quanto pare, il governo non ha seguito una logica “di filiera”. A ben vedere, attraverso i loro argomenti, si coglie l’essenza di un tessuto economico ben più complesso di quanto sia immaginabile ad una prima analisi. Così ecco che la Cna ha denunciato, ad esempio, come “oltre 100 mila imprese del settore della ristorazione” siano “inspiegabilmente escluse dagli indennizzi del Dl ristori”. Si tratta di realtà che “svolgono attività senza somministrazione, in pratica tutto l’artigianato della ristorazione”.
Sempre sul versante del food, lancia un allarme l’Anir Confindustria, che si occupa di ristorazione collettiva, comparto che riguarda, per esempio, mense aziendali e scolastiche. Massacrato da smartworking e Dad e che quantifica un crollo di fatturato attorno al 50%. “Chiediamo da settimane un intervento strutturale che permetta alle aziende di riorganizzare il servizio che il Covid sta cambiando profondamente”, dicono. E poi ci sono le lavanderie industriali. Meno lavoro per ristoranti e hotel significa meno lenzuoli, tovaglie e biancheria da lavare e sanificare. Anche questa categoria, denuncia Assosistema, è fuori dal recinto del Dl Ristori. L’associazione attacca “la miopia da parte del governo che si ostina a non voler riconoscere le perdite in termini di fatturato e di posti di lavoro di un settore che svolge un servizio impensabile per il turismo”. Poi c’è l’universo degli eventi e del wedding.
Secondo Assoeventi, il ristoro per questo tipo di imprese deve essere “parametrato alla perdita effettivi dei ricavi tutto l’anno” e non “ad un arco temporale ristretto”. Soffre anche il segmento dei distributori automatici. Anche in quel caso, con scuole a regime ridotto e grandi aziende in smartworking, meno bevande e snack da agguantare con la monetina. L’associazione corrispondente, Confida, denuncia sconsolata: “Non ci sono fondi per il settore” nel plafond dei ristori a fondo perduto. Così come l’Aicap, rappresentanza della cartellonistica stradale e pubblicità esterna, che avvisa: “le aziende del comparto sono state escluse, ad oggi, da qualsiasi forma di ristoro o credito di imposta”.
Il crollo del loro fatturato è ravvisabile sul 60%. Brutta prospettiva, poi, anche per i venditori ambulanti. “Ancora una volta siamo stati dimenticati”, osserva la Fiva, “se il Decreto Ristori rimane così com’è i nostri fieristi e i nostri ristoratori mobili non avranno nulla”. E poi c’è Confprofessioni, che ricorda come attorno alle attività colpite dall’ultimo Dpcm ruoti un universo di operatori, come tributaristi e consulenti “che subiscono a loro volta l’impatto di queste chiusure”. Soggetti senza tutele. Così come gli agenti di commercio, su cui grava una battuta d’arresto. “I sostegni previsti dal Dl ristori”, ragiona la Fiarc di Confesercenti, vanno estesi anche a loro, “a partire da quelli che lavorano nelle filiere del turismo, degli eventi e della ristorazione”. E’ ben nutrito, dunque, il coro dei dimenticati. E nel frattempo per il governo si apre un altro fronte: la triplice, in maniera più forte la Cgil e la Uil, minaccia sciopero generale se non verrà prorogato il blocco dei licenziamenti fino a fine marzo, in corrispondenza con la cassa integrazione. Confindustria, per voce del Presidente Bonomi, stigmatizza: “non è comprensibile questo atteggiamento nel Paese"