Il lockdown Covid spacca i virologi
La fase finora più dura della seconda ondata di Coronavirus riporta sugli schermi televisivi uno dei leit motiv dello scorso marzo: il dibattito tra virologi, medici, scienziati. Che, tuttavia, più che assomigliare a un simposio di esperti sembra piuttosto una di quelle risse televisive alle quali gli italiani, cercando conforto e chiarimento, assistono al contrario con sempre maggiore sconcerto.
A provocare ieri l’ennesimo corto circuito è stato ancora una volta il consulente del ministero della Salute Walter Ricciardi. Che oltre a criticare velatamente il Dpcm di Conte che a suo parere sarebbe insufficiente («il ministro Speranza voleva fare di più, altri ministri lo hanno fermato. Succede così in tutta Europa. E infatti in tutta Europa il virus sta dilagando») ha rilanciato l’ipotesi lockdown, per lo meno per le grandi metropoli in questo momento maggiormente in difficoltà: Milano, Napoli e Roma. «Ci sono aree - ha detto Ricciardi - dove la trasmissione è esponenziale e le ultime restrizioni adottate che possono essere efficaci nel resto del territorio, in quelle zone non sono valide per fermare il contagio. A Milano e Napoli uno può prendere il covid entrando al bar, al ristorante, prendendo l’autobus. Stare a contatto stretto con un positivo è facilissimo perché il virus circola tantissimo. In queste aree il lockdown è necessario, in altre aree del Paese no».
Parole contro le quali si è scagliato duramente il primario di terapia intensiva del San Raffaele di Milano Alberto Zangrillo: «Penso e spero che queste dichiarazioni siano decontestualizzate rendendole surreali. Se fossero vere, l’unico modo che ho di commentare è quello di implorare il presidente del Consiglio di parlare lui a nome di tutti. Perché chiudere Milano e Napoli è qualcosa di estremamente importante e significativo e penso che debba essere preannunciato e fatto dal Capo del Governo». Zangrillo chiede maggiore responsabilità e prudenza al consulente del ministero della Salute. E il primario del San Raffaele non è l’unico dei virologi ormai diventati familiari agli italiani a giudicare eccessiva l’ipotesi di sospendere tutte le attività produttive nelle grandi città.
Parla il virologo Giorgio Palù: "Il panico non aiuta a sconfiggere il Covid"
Per Fabrizio Pregliasco dell’Università degli Studi di Milano «esiste un tema grandi città, ma su questo fronte il Dpcm del governo ha fatto il possibile. Quindi a mio avviso occorre aspettare 15-20 giorni per valutare gli effetti». «Uno studio recente su Lancet - continua Pregliasco conversando con l’Adnkronos Salute - ci dice che i primi effetti delle misure non farmacologiche si apprezzano già 8 giorni dopo l’introduzione, dunque aspettiamone almeno 15 per valutare gli effetti del Dpcm. Certo, un lockdown a Milano e Napoli era possibile, ma si è deciso di intervenire bilanciando salute ed economia».
Si iscrive agli allarmisti invece Massimo Galli: «La possibilità di un lockdown in alcune aree d’Italia, tra cui Milano, è un’opzione che mi rattrista in maniera violenta, ma che non può non essere considerata» spiega all’Adnkoronos Salute l’infettivologo dell’ospedale Sacco. «Cruciali saranno i numeri dei prossimi giorni. Se corrisponderanno alle previsioni pessimiste, o addirittura saranno più preoccupanti, il lockdown sarà necessario».
A tirare le fila, per una volta, è la politica, con il sindaco di Milano Giuseppe Sala che non sembra intenzionato a prendere decisioni deflagranti a breve termine. «Ho appena ricevuto un messaggio sms di un virologo di cui mi fido molto, che dice ieri c’erano circa 80 pazienti intubati a Milano e 200 in Lombardia» spiega Sala. «La conclusione è che anche nella peggiore delle ipotesi avremmo 10-15 giorni per decidere un eventuale lockdown». Il problema adesso, come spiega il sindaco sono i numeri alti dei ricoveri che intasano gli ospedali. Ma «non credo sia irrisolvibile e che ci debba portare a un lockdown generale adesso». Posizione, peraltro, condivisa dal governatore della Lombardia Attilio Fontana: «Al momento non ci sono le condizioni».