coprifuoco soft
Stop agli ex comunisti. E il Dpcm di Conte è meno duro
Ecco i dati sul coronavirus di ieri in Italia. E provo a darveli in un modo diverso dal solito. Dal Piemonte alla Sicilia hanno avuto il timore di essere stati contagiati 146.541 italiani, un piccolo esercito che è riuscito ad accedere al tampone. Per fortuna per il 92% di loro si è trattato di un falso allarme: 134.836 italiani erano negativi a quel test.
Solo l’8 per cento- pari a 11.705 casi- è invece risultato positivo e ora deve affrontare il tunnel della malattia con tutti i suoi rischi e le difficoltà connesse. Secondo il presidente dell’Iss, Franco Locatelli, però i due terzi dei positivi - circa 8 mila di quei casi - non ha alcun sintomo della malattia. Può incrociare le dita e se le cose vanno bene sviluppare gli anticorpi senza stare male, e fra un po’ di giorni affrontare questi tempi di paura con una invidiabile serenità. Un terzo di loro invece- circa 3.900 persone- ha i sintomi del virus qualcuno in modo lieve, altri in modo più preoccupante. Per loro bisogna pregare e confidare ovviamente nelle cure che i nostri medici sapranno fornire. Oggi in modo più appropriato di quel che non avvenne a febbraio e marzo, perché per fortuna nella lotta al virus si è fatto qualche passo in avanti. Nei mesi più difficili della primavera si facevano molti meno tamponi di oggi (un terzo circa quando si è andati a ritmo pieno), la percentuale di positivi era assai più alta (fra il 30 e il 40%), erano tutti sintomatici e i malati gravi assai più di ora. Certo, bisogna stare attenti al trend perché è in forte crescita. Ma anche tenere conto che ad oggi risulta essersi ufficialmente contagiata solo da febbraio solo lo 0,68% della popolazione italiana. Il che significa che ogni giorno il rischio di trovare il virus in una delle persone che incontriamo è bassissimo: non ci sono numeri da peste nera come quelli delle epidemie secolari. Prudenza è necessaria (e gli italiani ne usano tanta checché se ne dica), ma il terrore non è davvero giustificato dai numeri qui elencati.
Sembra da quel che è avvenuto nelle ultime ore che questa consapevolezza della realtà l’abbia anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Chi legge queste righe sa che su molti argomenti siamo stati spesso critici sulle scelte di chi guida il governo, ma in occasione di questo dpcm bisogna riconoscere a Conte di avere saputo fare da argine a molta irrazionalità che stava dilagando nella sua maggioranza, e in particolare nel Partito democratico e in Leu con il suo ministro della Salute, Roberto Speranza. A sentire loro bisognava chiudere tutto e sigillare quelle che considerano «attività non necessarie». Ora posso pure capire che in guerra sotto le bombe uno debba preoccuparsi prima di tutto di trovare un tozzo di pane con cui sfamarsi e i farmaci per tenersi in salute, e tutto il resto può sembrare in quelle condizioni superfluo. Ma non siamo in guerra, e nelle ipotesi tranchant che sentivo circolare in questi giorni c’era più moralismo pauperista che ragionevolezza: e allora metti i sigilli a palestre, centri estetici, parrucchieri e poi pure di fatto ai locali dove bere qualcosa e provare il piacere del cibo e di un po’ di compagnia. Non a caso la linea dura veniva proprio dalle fila degli ex comunisti che ce l’hanno sempre avuta con chi spende i soldi come con chi li guadagna in quel modo (commercianti).
Se la scure non è caduta in questo modo sulla incolpevole testa di queste categorie si deve dire grazie al pressing di alcuni governatori di Regione (non tutti) e a un sussulto di senso di responsabilità e di realismo che questa volta ha avuto il presidente del Consiglio. Bene, anche se non sappiamo quanto a lungo potrà durare. Almeno oggi non dobbiamo celebrare il funerale di gran parte di queste attività e speriamo di non doverlo fare nemmeno un domani, pur con la crescita dei contagi. Sono i popoli di cui si vuole sottomissione che si dominano con la paura troppo spesso sparsa a larghe mani da chi comanda in questo paese. È la ragione che invece fa compiere scelte anche comportamentali sagge e durature. E per parlare alla ragione degli italiani bisogna fornire le ragioni di quel che accade, non travolgerli con numeri senza senso e con allarmi buttati alla rinfusa. Che cosa sia necessario o meno alla vita degli italiani non lo deve decidere il governo in un paese libero, quindi frasi come quelle pronunciate da Speranza («chiudiamo prima quello che non è necessario, per non dovere chiudere poi quello che è necessario»), lasciamole all’Unione sovietica del passato o ai regimi totalitari. Se invece si ritiene che una situazione contenga più rischi di un’altra, si spieghi il perché motivando anche i numeri nel corso del tempo. Vogliamo fatti, non slogan. Io mi giro intorno nella mia piccola esperienza personale e vedo che la stragrande maggioranza dei casi di quarantene, isolamenti, e purtroppo anche positività hanno come origine la scuola. Le autorità governative dicono che la scuola è sicurissima, però puntano il dito su parrucchieri, palestre, centri estetici e bar. Io non conosco e quelli che conosco non conoscono un solo caso di quarantena, isolamento o positività nato in una barberia o in un bar o in un centro estetico. Ho bisogno di spiegazioni, non di slogan. E come me credo ne abbiano non solo bisogno, ma diritto tutti gli italiani.