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Le elite si godono i tempi di crisi. Agli altri resta solo la speranza

Gianluigi Paragone
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Va restituita la fiducia a imprese e famiglie, dice Ignazio Visco dalla poltronissima di governatore di Banca d’Italia, che d’italiano a parte il nome gli resta ben poco considerata la trama del sistema creditizio tricolore ormai in mani straniere. Segno dei tempi, si dice in questi casi guardando ai modelli globali.

La fiducia che invoca Visco è un guscio che contiene ansie, paure, ristrettezze. Ieri i lavoratori dello spettacolo hanno protestato mettendo i bauli come bare del loro lavoro. In giro per l’Italia tanti altri lavoratori lottano per difendere brandelli di lavoro e tanti piccoli imprenditori difendono i loro capannoni. Le famiglie e le imprese - quelle vere, dicevamo; non quelle che hanno santi in paradiso o, peggio, le multinazionali - sono frenate da tutto quello che nel recente passato non è stato mai visto né da banche sempre più marziane né da governi eurostandardizzati. Nelle famiglie genitori e figli si contendono un contratto di lavoro serio e un altro buono solo per far statistica. Nelle imprese si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, in balia di vecchie sofferenze bancarie ormai insanabili e di nuovi affanni debitori, in balia di Pubbliche amministrazioni che non pagano e non compensano, in balia di truffe ai risparmiatori che Visco ha visto così tardi che infatti non ne parla più e di pseudo-risarcimenti del 12 per cento (a chi arriva...) strombazzati da eccitati sottosegretari al Mef con la casacca di quel partito che in Veneto prese i voti dicendo ai risparmiatori di non accontentarsi dell’elemosina che gli promettevano Baretta e quelli del Pd con cui oggi cinguettano che è un piacere. Nelle chat dei risparmiatori il video di Di Maio che li pregava a non accettare quelle elemosine e che il Movimento avrebbe fatto da scudo protettivo gira che è una bellezza.

La fiducia di cui parla Visco da Palazzo Koch ha una gommosità imbarazzante, rimbalzo di disparità sociali che lasceranno il segno. Dopo settimane a far finta che i soldi del Recovery aspettavano soltanto di essere spesi in progetti virtuosi (virtuosi per chi non è dato saperlo...), ecco che esce fuori ciò che dicevamo dall’inizio della storia: se i parlamenti non votano il programma, tutto resta ai nastri di partenza; e siccome i parlamenti degli altri Paesi non sono un orpello istituzionale come lo hanno ridotto in Italia senza che il Capo dello Stato alzi la voce, ecco che il via libera stenta ad arrivare. Così si torna alla casella del via, cioé al Mes, laddove tutto era partito perché tutto era già scritto. Hanno fatto melina.

Così mentre gli italiani vengono obbligati a fare i conti con il rosso in banca e viene raccontato loro che il momento è difficile quindi dobbiamo accettare tutto, nello stesso periodo di massima sofferenza ecco che uno studio annuale firmato dalla banca svizzera Ubs rivela che durante il coronavirus i ricchi sono diventati ancora più ricchi, sia a livello di multinazionali over the top, sia a livello di patrimoni personali. Innovatori? Imprenditori che hanno saputo guardare oltre, trasformato la crisi in opportunità? Questo è quel che vorrebbero far credere, la verità invece è che la ultra-ricchezza è generata da rendite immobiliari e finanziarie, da un tasso di rendita dei capitali che da qualche decennio corre indisturbato alla velocità della luce. Un nuovo feudalesimo.

Così mentre le élite si godono il tempo delle crisi, gli altri la subiscono perché non hanno nè una rendita da capitali né Stati forti capaci di contrastare e livellare queste ingiustizie. Andrà tutto bene, dicevano con fare paternalistico durante il lockdown. A guardare cosa sta accadendo non mi sembra che ci sia molto che consolidi quel senso di fiducia di cui parla Visco.

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