il caso
La Regione Lazio perde la guerra del museo di Affile
La resistenza di Nicola Zingaretti è già finita. La guerra tardopartigiana del governatore del Lazio contro il Comune di Affile è stata interrotta bruscamente dalla Corte di Cassazione. Il sindaco e due assessori della piccola città in provincia di Roma non hanno commesso alcun reato, ad Affile non c’era il fascismo alle porte con la realizzazione del Museo del Soldato. L’ossessione di Zingaretti e della sua amministrazione non aveva alcun senso, anche perché la regione Lazio sapeva tutto sull’impiego dei finanziamenti concessi al Comune.
È una storia incredibile questa per la quale la I^ Sezione Penale della Corte di Cassazione ha annullato le sentenze nei confronti del sindaco Ercole Viri e degli assessori Giampiero Frosoni e Lorenzo Peperoni, membri della giunta di Affile che in primo e secondo grado erano stati condannati per apologia di fascismo rispettivamente a 8 mesi e 120 mila euro di multa il primo cittadino, a sei mesi e 80 mila euro di multa ciascuno i suoi delegati. Il nome di Rodolfo Graziani ha creato malumori immotivati in Regione, per una fotografia del generale, che ad Affile visse e morì, e che sta nel mausoleo: che è grande ben 36 metri quadrati. Il museo, non la foto...Come apologia di fascismo un po’ pochino rispetto ai monumenti d’epoca. Ebbene, questa vicenda va avanti da molto tempo solo per l’incaponimento di chi pensa a seminare zizzania al solo scopo di colpire gli avversari politici.
Occorrerà leggere con attenzione le motivazioni della Cassazione - la sentenza è stata resa nota nella tarda serata di venerdì agli avvocati Ignazio La Russa, Vittorio Messa e Alessandro Palombi - ma certo incongruenze in un percorso giudiziario che ha crocifisso il sindaco Viri e i suoi assessori ce ne sono state. Basti pensare che fu proprio la regione Lazio a finanziare l’opera. Addirittura fu sempre la Regione ad approvare un altro finanziamento per un parco – a Filettino, il suo paese natale nei pressi di Affile – che al maresciallo d’Italia Graziani era espressamente intitolato. Ci sono le delibere che ciascuno può leggere. Ma evidentemente a Zingaretti devono averle nascoste...Perché nel caso di Filettino nessuno fece casino: lì una giunta Pd, ad Affile amministrazione Fdi. Indovinare perché la polemica è stata solo verso un comune non è complicato, crediamo.
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L’amministrazione regionale che pagava non era di destra, ma era quella di centrosinistra di Piero Marrazzo, negli anni 2008 e 2009. Insomma, Zingaretti si è infilato in una crociata per un «reato» commesso da una giunta rossa...E chi lo ha consigliato malamente lo ha mandato a sbattere contro la Corte di Cassazione. Davvero complimenti. Il pasticcio regionale è andato avanti per troppi anni e ieri le imputazioni mosse a Viri e agli assessori sarebbero cadute in prescrizione. Comunque la Cassazione non se l’è sentita di chiudere tutto in questa maniera e ha preferito rinviare tutto in Corte d’Appello, evidentemente per scarsa convinzione nelle motivazioni alla base delle condanne decise dai magistrati precedenti. Adesso sia La Russa che Messa e Palombi attendono le motivazioni dei giudici del Palazzaccio ma certo è che la figuraccia l’hanno fatta a sinistra nel voler perseguire un’accusa che non meritava chissà quale spreco di risorse. Addirittura l’associazione partigiani si era costituita parte civile, ma finiscono in fumo persino gli ottomila euro che la Corte d’Appello pretendeva di far cacciare dagli imputati in direzione Anpi. Tutto da rifare. Bastano i quattrini che scuce lo Stato con i contributi...
Intanto, Ercole Viri continua a governare ininterrottamente da dodici anni il comune di Affile, nonostante la cagnara mossa contro di lui. Anzi, racconta, «mi hanno aiutato». Perché nel 2015 si ritrovò persino in piazza – era il 25 aprile – Emanuele Fiano che andò a concionare contro l’amministrazione comunale. «A maggio si votava e presi una valanga di voti in più». Ovviamente, Fiano ad Affile non l’ha visto più nessuno. E c’è da giurare che almeno in loco non comparirà più chi voglia speculare contro un sindaco benvoluto dai suoi concittadini che conoscono bene quella storia. La sentenza della Corte d’Appello del 2019 aveva confermato la sentenza emessa nel 2017 dal giudice del Tribunale di Tivoli Marianna Valvo che aveva condannato i tre anche all’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici, oltre al risarcimento del danno pari a 8 mila euro all’Anpi, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia costituitasi parte civile attraverso l’avvocato Emilio Ricci. Per questo Viri, difeso dall’avvocato Vittorio Messa, insieme a Frosoni e Peperoni, rappresentati dagli avvocati Ignazio La Russa e Alessandro Palombi, avevano fatto ricorso in Cassazione. I magistrati del primo e del secondo grado di giudizio erano convinti che il mausoleo edificato ad Affile rappresentasse una maniera per riorganizzare il disciolto partito fascista. In Cassazione aveva presentato ricorso anche la Procura Generale che aveva richiesto la distruzione della delibera di giunta numero 66 del 21 luglio 2012 con la quale il museo fu intitolato a Graziani – ma non quella regionale di finanziamento - il sequestro del fabbricato per scongiurare che la libera disponibilità del mausoleo potesse aggravare e protrarre le conseguenze del reato e agevolare la commissione di ulteriori reati. Ma il giudice Marianna Valvo sentenziò che il sequestro e la confisca del mausoleo non sono possibili perché non è l’edificio il prodotto del reato, bensì l’intitolazione ad un «esponente fascista» attraverso la delibera che ha attribuito all’immobile una valenza storica e rievocativa. La decisione della Corte di Cassazione rimette in discussione un percorso giudiziario che è stato accompagnato da durissime polemiche politiche, che si spera ora vengano finalmente messe da parte, dopo aver trattato per anni la giunta Viri come un manipolo di criminali. L’amministrazione ha invece tributato un omaggio ad un suo illustre cittadino e questo non è certo un reato. Tantomeno di apologia di fascismo.