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Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia attente solo al consenso: ora una proposta concreta di governo

Andrea Amata
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A Matteo Salvini gli vanno riconosciute le intuizioni folgoranti che lo hanno premiato nell'ascesa del consenso nel quadro di una permanente mobilitazione elettorale che si è principiata alle politiche del 2018 per concludersi alle regionali del 2020 e passando per le europee del 2019. Cosicché, l'esigenza della strategia politica  modulata sull'istante si è imposta sull'elaborazione progettuale ascrivibile ai soci della coalizione. È presumibile che la legislatura si concluda nei suoi tempi fisiologici, rimandando al 2023 l'appuntamento elettorale e concedendo ai partiti del centrodestra il tempo necessario per organizzare l'alternativa di governo. La Lega, FdI e Forza Italia dovrebbero focalizzare il loro impegno non solo sul consenso ma sulla sostanza politica da conferire alla proposta di governo.  L'orizzonte politico del 2023 può pregiudicare l'area del centrodestra, rendendola vittima del logoramento, se non si procede ad una riqualificazione del suo messaggio. Viceversa, il 2023 può rappresentare un'opportunità se si opera un investimento paziente sulla classe dirigente, sulle competenze, sulle idee e sul profilo geopolitico nel solco della visione euro-atlantica. Non bisogna rincorrere formule stantie evocando il concetto evanescente del moderatismo, ma rivestire di istituzionalità la proposta politica per renderla credibile e spendibile nella competizione elettorale. La personalizzazione della politica e l'irruzione delle tecnologie mediatiche, con l'egemonia dei social a megafonare un pensiero compresso nella sintesi dello slogan, ha privato i territori della fisicità dei partiti provocando un vuoto organizzativo che è stato occupato dall'estemporaneità.

Il Partito democratico, nonostante non abbia un leader carismatico e mobilitante, riesce a conservare una stabilità competitiva perché non ha abbandonato la liturgia partitica intesa come palestra in cui si forma e si seleziona la classe dirigente. I Dem hanno compensato la carenza di figure pop con la capillarità delle sue risorse organizzative smistate sui territori. Il Pd ha già iniziato a divorare i 5 stelle e come la mantide religiosa dopo l'accoppiamento, che ha generato un governo ribaltonista utile a rigenerare una sinistra deperita nelle urne, ha iniziato a predare l'elettorato grillino. Con il referendum confermativo sul taglio lineare dei parlamentari si apre una fase politica delicata che dovrà ridefinire i collegi e formulare una nuova legge elettorale che dia stabilità al Paese. Le regole dovrebbero essere scritte per funzionare nell'interesse del rendimento generale del Parlamento e non per avvantaggiare una parte, privilegiando una tecnica elettorale che non emargini i cittadini dalla scelta dei rappresentanti e dal tracciare il perimetro della maggioranza di governo. Ritornare al proporzionale con soglie di ingresso confacenti ai cespugli della maggioranza, come LeU, Italia Viva e + Europa, significherebbe restaurare la palude assembleare con gli elettori estraniati dal processo politico. Invece, il maggioritario conferirebbe una spinta alla formazione di due blocchi elettorali, aggregati dall'omogeneità programmatica. Le elezioni del 2013 e del 2018 ci hanno consegnato una tripartizione del formato politico con il centrodestra, il Pd e il M5s, mentre l'evoluzione del quadro politico si sta configurando in una competizione bipolare ed il voto disgiunto delle regionali, con l'elettorato grillino in soccorso dei candidati presidenti del Pd, testimonia tale innovazione. Conviene anche ai grillini il maggioritario per strutturare l'alleanza con la sinistra, perché con il proporzionale rischierebbero di essere inghiottiti dalla mantide dem e recintarsi in un limbo declinante che prelude all'estinzione. Il centrodestra unito presenti una proposta di legge elettorale maggioritaria per intestarsi una vocazione di modernità in contrapposizione ai fautori della restaurazione proporzionale.

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