analisi del flop

Paragone e la disfatta M5s: l'Italia che lavora manda al diavolo i grillini

Quando esprimi il ministro dello Sviluppo Economico (il triestino Patuanelli) e pure il vice ministro (il milanese Buffagni), ti aspetti come minimo che la parte produttiva dell’Italia sia sensibile. Invece il 2,7 per cento preso dal Movimento Cinquestelle in Veneto  è una clamorosa e dolorosissima porta sbattuta in faccia. Come a dire: lasciate perdere, ragazzini, il gioco è troppo duro per voi.

Il 2,7 veneto fa poi il paio con il 4 per cento a Venezia dove il governo schierava l’impopolare sottosegretario Baretta in quota Pd, già trombato alle politiche per via della ferma opposizione dei risparmiatori fregati dalle banche che speranzosi di giustizia votarono copiosamente i Cinquestelle come alternativa alla Lega. Proprio perché non hanno ancora visto un solo centesimo di restituzione promesso, quella speranza oggi si è trasformata in opposizione dura contro appunto i grillini di governo: dalla torinese Laura Castelli viceministro al Mef al ministro per i rapporti col parlamento Federico D’Incà, bellunese.

  

Lo stesso vale per il trentino Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla presidenza del Consiglio: nella sua città la lista civica promossa dall’ex M5S Filippo Degasperi ha strappato il seggio proprio ai Cinquestelle lasciandoli fuori dal consiglio comunale a leccarsi le ferite.

La debacle trova conferma nelle laboriose Marche (polo industriale in crisi), nella stessa Liguria del ponte Morandi simbolo di una battaglia politica (la revoca delle concessioni autostradali ai Benetton) è una delle tante favolette raccontate dai grillini, come pure l’inganno sull’Ilva di Taranto (non a caso in Puglia il Movimento ha registrato un crollo di consenso). Ma anche in Campania dove il Movimento ha preso presci in faccia ovunque nonostante le truppe parlamentari; e pure a Pomigliano d’Arco(re) non è bastato al cardinale Di Maio piazzare mezzo paese per vincere al primo colpo alleandosi col Pd e sette liste civiche. Insomma laddove c’era un pezzo di questione industriale e occupazionale la forza politica che detiene i ministeri chiave è crollata. Perché? Semplice, perché non sono all’altezza delle sfide, non sono coerenti con le battaglie e quindi si aggrappano a vecchi personaggi come Elio Catania (nuovo padrone di casa al Mise). Insomma hanno saputo solo farfugliare cose con indosso la grisaglia ministeriale, come se bastasse il biglietto da visita o l’auto blu a fare di tanti ragazzotti pezzi di una vera classe dirigente. Patuanelli, la Catalfo, la Castelli, Buffagni (tanto per citarne alcuni) sono stati bocciati dall’Italia che lavora sodo, sono stati avvertiti come dei fortunati vincitori di una lotteria, dunque troppo inadeguati per una fase storica dove le terze file innervosiscono, infastidiscono per tanto scarso valore. Ripeto, sono i dati a parlare. L’Italia che produce e che lavora non ha voglia di post da quinta elementare partoriti da uffici stampa improvvisati o di meme elogiativi rilanciati con l’entusiasmo della scolaresca in gita; l’Italia che passa le giornate nei capannoni o dal commercialista per capire come affrontare la burrasca vuole avere dal governo risposte certe. Invece sono bla bla bla. L’altro giorno un imprenditore edile mi ha ricordato dei 196 milioni di crediti vantati dalle imprese dell’indotto operante nei cantieri fermi. Il fondo Salva Opere previsto nel decreto Crescita prevede come «importo erogabile in sede di primo riparto» solo 40 milioni, che non solo sono pochi ma non sono ancora stati erogati. Il decreto è di giugno! Da qui la domanda: è una specie di partita di giro? È uno spunto per idioti post celebrativi? E soprattutto, i beneficiari del »salvataggio» sono gli imprenditori della filiera oppure i soliti Astaldi, Cmc di Ravenna, Condotte attraverso strane operazioni interpretative?

E che dire del credito d’imposta del 60 per cento per i prodotti legati alla sanificazione dei luoghi di lavoro, dal gel al plexiglas? Puf, svanito? Evanescenti come i vari bonus, la cassa integrazione, i prestiti garantiti dallo Stato, eccetera eccetera?

I governatori riconfermati sono stati premiati perché in mezzo a tanti chiacchieroni hanno dimostrato di avere un valore reale o percepito tale. L’errore della viglia è stato pensare di proiettare gli affanni del governo (che ci sono eccome) sui presidenti di regione, invece i cittadini hanno scisso le questione come a dire «Basta bluff». 
Conte regge perché hanno tenuto due presidenti anomali quali De Luca ed Emiliano e perché ha retto un sistema economico-sociale che gira attorno a un partito, il Pd. In questo galleggiamento governativo un altro ruolo decisivo lo giocherà l’Europa, che si infilerà nelle debolezze di questa maggioranza come una lama calda nel burro. I soldi del Recovery saranno un altro guinzaglio al collo, cui seguirà il Mes, e la promessa di rivedere le regole di Dublino sull’immigrazione, altro inganno targato Bruxelles