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Elezioni regionali, il dramma di Forza Italia: dimezza i voti, il tracollo in Campania
Il segno dei tempi lo dà il silenzio di Silvio Berlusconi. Mai prima d’ora il Cavaliere aveva rinunciato a far sentire la propria voce all’indomani di un’importante tornata elettorale. E la convalescenza dopo la brutta avventura del Coronavirus c’entra poco. A pesare è invece la delusione per un risultato elettorale che si è rivelato peggiore di quanto le già non rosee previsioni ipotizzavano.
Il tracollo sta tutto nelle cifre. Nelle sei Regioni alle urne - fatta eccezione quindi per la Valle d’Aosta - il partito che per un quarto di secolo ha dominato la politica italiana si è fermato a 475mila voti. Appena un anno fa, in occasione delle Europee, negli stessi territori Forza Italia raccolse oltre 830mila consensi. E già allora il risultato fu considerato deludente.
Ci sono tanti fattori da considerare, è vero. In cinque Regioni su sei il partito del Cavaliere non esprimeva un proprio candidato governatore, e non poteva dunque sfruttare questo traino. Ma l’amarezza maggiore è arrivata dove il candidato forzista c’era, Stefano Caldoro. Eppure proprio la Campania, terra d’adozione di Berlusconi - sono di queste parti le sue ultime due fidanzate, Francesca Pascale e Marta Fascina - ha voltato le spalle agli azzurri. In un anno Forza Italia è passata da 298mila a 119mila voti. Una vera e propria ecatombe.
Resta quello che si diceva alla vigilia delle elezioni. Berlusconi, a maggior ragione dopo la disavventura del Coronavirus, è una sorta di entità al di là del bene e del male: difficile che un risultato elettorale, per quanto amaro, possa intaccarne il mito. E però il problema per la classe dirigente resta. Cosa fare per invertire il trend? Il dibattito, nel silenzio del leader, si consuma tra i colonnelli. «Il risultato complessivo non ci può vedere pienamente soddisfatti - ammette la capogruppo alla Camera Mariastella Gelmini - e va aperta una riflessione costruttiva sul rilancio di Forza Italia, valorizzando la vocazione liberale, riformista ed europeista del nostro movimento, senza ambiguità a sinistra, consapevoli che senza una Forza Italia in salute e presidio dell’area di centro l’alleanza non vince». Di «costituente dell’area moderata e liberale, oggi orfana di rappresentanza» parla il coordinatore lombardo Massimiliano Salini, auspicando un contenitore che riparta dai territori basandosi sulle tante esperienze civiche e richiamandosi al progetto dell’«Altra Italia». E se il senatore Francesco Giro invita tutti a riconoscere la leadership di Matteo Salvini sulla coalizione, Michaela Biancofiore lancia l’ennesimo appello al rinnovamento della classe dirigente: «Squadra vincente non si cambia mentre squadra perdente si cambia. Forza Italia è andata in decremento causa di errori clamorosi e adesso spero che il presidente Berlusconi ponga rimedio altrimenti siamo destinati a queste cifre irrilevanti». A tirare le fila è il vicepresidente del partito, Antonio Tajani: «Bisogna rinforzare il centro del centrodestra perché con una scelta solo di destra rischiamo di fare lo stesso risultato di Le Pen in Francia. Bisogna allargare il consenso al centro per vincere.
Di fatto, per chi vuole coglierli, il voto dà ai forzisti alcuni segnali chiari: il primo è quello di lasciar perdere eventuali avventure centriste al di fuori della coalizione di destra. I risultati residuali di Italia viva dimostrano una rinnovata tendenza dell’elettorato al bipolarismo: il centro al di fuori dei poli si conferma area di tante sigle ma di pochissimi voti. Il secondo segnale arriva dalla frenata della Lega e dalla contestuale conferma del taglio dei parlamentari. Ad oggi Matteo Salvini non può garantire seggi in più per nessuno tranne che per i suoi. Qualche possibilità in più ci sarebbe in Fratelli d’Italia, ma la fila alla porta della Meloni è già in overbooking. Per il ceto parlamentare azzurro, insomma, non c’è altra strada che provare a rilanciare il progetto forzista. Certo, bisognerà vedere se Berlusconi ne avrà la forza e la voglia. Difficile immaginare che la ripartenza possa passare da grandi dibattiti o congressi in un partito che non li ha celebrati neanche quando era al 30%. Figuriamoci adesso...