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Reddito di cittadinanza, il navigator è per sempre. Flop totale e il governo li ricicla

Pietro De Leo
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Erano il volto della svolta, l’Esercito del Bene, i grandi pensionatori della povertà. Sì, i navigator, anima e core del reddito di cittadinanza, quelle figure che, come d’incanto, avrebbero dovuto far «incontrare domanda e offerta», raddrizzando ai beneficiari della misura la strada tortuosa verso la conquista del posto di lavoro. Peraltro, avevano anche assunto una certa venatura pop, essendo entrati a pieno titolo nel romanzone del Movimento 5 Stelle. Una sorta di nuova categoria umana da studiare, tanto che quando si svolse il concorsone alla Fiera di Roma arrivarono telecamere e taccuini. Chi sono? Che fanno? Cosa sognano? Cosa si aspettano di trovare? E il loro mentore di fatto, il ministro Di Maio, andò a «benedire», la loro giornata di formazione. Andate e collocate, catechizzando gli spalti pieni di quell’evento battezzato, in maniera assai suggestiva, «kick off», come il calcio d’inizio. Bene, solo che la partita via via si è ammosciata, appannata, rallentata. Il reddito di cittadinanza, come misura di «welfare to work», ossia di politica attiva per traghettare verso un posto di lavoro, è stato un sogno andato ad infrangersi sul muro della realtà. Circoscritta nei numeri impietosi forniti, neanche tre mesi fa, dalla Corte dei Conti: su un milione di domande accettate, soltanto il 2% ha trovato lavoro grazie ai navigator.

Dunque siamo nell’ordine di poche decine di migliaia. E lungo i mesi si sono affiancate le cronache che raccontavano di una difficoltosa integrazione di queste nuove figure con le strutture dei centri per l’impiego. Poi c’è stato il lockdown, ed uno smartworking assai difficile da sfociare nell’efficienza (come in molti altri settori, d’altronde). Ora, per i quasi 3mila navigator, che percepiscono circa 1700 euro netti al mese, comincia a scorrere il conto alla rovescia, dato che il contratto scade ad aprile del 2021. Per alcuni di loro potrebbero aprirsi nuove porte (stavolta con la stabilità) dei bandi dei concorsi regionali. Però gli altri non tutto sarà perduto. Perché dal governo sembra arrivare un’altra possibilità di impiego, dato che evidentemente, secondo loro, schema che (non) vince non si cambia.

Dunque se i navigator hanno perduto (non per loro colpa, ovviamente), la bussola, ecco i «facilitatori» digitali. Oltre 3000, numero evidentemente caro. È quanto previsto da una proposta contenuta nell’ormai famosa tabella sul piano di impiego del Recovery Fund. L’idea è venuta al ministro per l’innovazione tecnologica, Paola Pisano del Movimento 5 Stelle. E dunque ecco il cuore di questa trovata: «Consentire nel trienno ai circa 7.5 milioni di famiglie italiane che, stando ai dati ISTAT, dichiarano di non avere ancora un pc/tablet a casa, di potersene dotare, attraverso specifici voucher, e di mettere a loro disposizione un servizio di supporto erogato». A questo dovrebbero servire i «facilitatori».

Costo dell’operazione? Circa 5 miliardi di euro, che però andranno anche per un altro obiettivo, ossia favorire la diffusione dello smart working per circa 1.5 milioni di dipendenti pubblici e circa 2 milioni di dipendenti delle PMI attraverso incentivi alle PA e alle PMI per la dotazione di pc/tablet. Dai navigator ai «facilitator», stai a vedere che l’unica politica attiva sull’occupazione cara ai pentastellati è fare della P.A un immenso ammortizzatore sociale.

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