Paragone all'assalto: questa Europa incoerente schiaccerà l'Italia del fare
L’altro giorno il vice presidente della commissione europea Franz Timmermans in una intervista ha fatto capire una volta di più la logica che governa gli aiuti di Bruxelles. Il succo, ben sintetizzato dal titolo, era: la Ue controllerà che l’Italia faccia le riforme adeguate. In poche parole i progetti che saranno approvati dalla commissione attraverso il Recovery dovranno restare nella solita architettura dello Stato di Maastricht, in barba a tutti i mea culpa sulla lontananza del progetto europeo dai cittadini. Detto altrimenti, chi vuole i soldi (indebitandosi) faccia quel che vogliamo noi.
Siamo già commissariati ancora prima di ricevere un euro. Cosa dice Timmermans
L’asse del nord (Von Der Leyen-Timmermans-Vestager) marcherà a uomo il governo italiano affinché continui coi compiti a casa, con gli effetti che ben conosciamo: zero crescita, disoccupazione crescente, pmi in balia della tempesta, tagli tasse e tagli.
In attesa di sapere quali progetti decolleranno da Roma destinazione Bruxelles, la pista di atterraggio è ben illuminata: le parole d’ordine del nuovo miracolo unionista saranno «new green deal» e «digitalizzazione». Che sulla digitalizzazione la Ue possa permettersi di dare lezioni è quanto meno ridicolo. Basti pensare in primis ai mega regali fiscali fatti ai colossi del web in questi ultimi dieci, quindici anni (una truffa legalizzata).
Ecco le quattro mosse con cui l'Ue ha reso l'Italia il campo profughi dell'Europa
Se ciò non fosse sufficiente vi regaliamo un’altra immagine del pulpito digitale da cui arrivano i sermoni: per passare dalle sessioni parlamentari di Bruxelles a quelle di Strasburgo (ricordate sempre che la rigorosa Europa ha tre sedi parlamentari che paghiamo profumatamente: due sedi parlamentari di pari composizione e una sede di rappresentanza), partono centinaia di tir carichi di documenti cartacei affinché l’eurobaraccone possa funzionare al... meglio. Altro che trasferimenti digitali dei data.
Quanto al New Green Deal sarà un’altra bella occasione per dare soldi alle solite multinazionali e ai soliti colossi che la fanno da «padrone», imprese cinesi in testa. (Chi produce il grosso dei pannelli fotovoltaici? La Cina...). Il new green deal, dicevamo, ci dimostrerà una volta di più quali sono le economie europee da spingere (Germania e Francia), concedendo le briciole ai competitor italiani. I conti li tireremo più avanti, e poi vedremo se ancora una volta le cassandre si ritroveranno ad aver ragione tardivamente.
Reti digitali, innovazioni tecnologiche all’insegna dell’ambientalismo, piani di rilancio: tutto bello se non fosse che ci sono servizi fondamentali che aspettano di avere una risposta da decenni.
Sono reduce da tre giorni in Sicilia dove ho presentato il mio progetto politico «No Europa per l’Italia-Italexit» e anche stavolta ho dovuto fare i conti con quei deficit primari che affossano la Sicilia: strade e collegamenti in testa. La disperazione degli imprenditori è mischiata con quel senso di ironia beffarda che dà loro la forza ad andare avanti: «Noi abbiamo prodotti d’eccellenza che il mondo ci chiede - mi raccontavano - Avere le reti digitali più veloci sicuramente è importante ai fini dell’e-commerce, ma se non abbiamo le strade che collegano i siti produttivi la velocità della rete diventa beffa su beffa».
Il discorso di fondo di chi ha richieste da ogni angolo del mondo è semplice: una classe politica corrotta (culturalmente prima ancora che legalmente) e incapace non è stata ancora in grado di rispondere ai temi fondamentali ma insegue altri miti nella speranza di prendere qualcosa e distribuirla. «Così non avremo mai la velocità che meritiamo».
«Il new green deal? Glielo va a dire lei a Roma e Bruxelles che qui in Sicilia produciamo e raffiniamo greggio più che altrove (con risvolti anche sull’inquinamento e sulla salute) e di contro paghiamo la benzina a prezzi allucinanti? Ma l’agricoltura con queste storture viene strozzata. Noi possiamo fare molto ma molto di più!».