Giuseppi e Casaleggio, la disfatta incrociata dei gemelli diversi
Caro direttore, piange...il telefono, così Domenico Modugno si struggeva per la sua donna che non gli rispondeva più. Oggi un’altra primadonna, sempre pugliese, «Giuseppi», soffre perché i suoi partner abituali - oltre a Matteo Salvini, come ha confessato pubblicamente - non rispondono più solerti come una volta ai suoi whatsapp che invia anche nel cuore della notte, così confermando la leggenda del suo «Governo delle tenebre». È preoccupato perché ha capito che l’incantesimo sta finendo nonostante gli sforzi di Rocco Casalino e di Marco Travaglio il quale, come il miglior Emilio Fede ai tempi del Cavaliere, gli ha appena apparecchiato una bella rentrée in scena dopo settimane di lockdown mediatico.
Secondo un sondaggio riservato che circola a Palazzo Chigi, l’alta burocrazia, i banchieri e gli imprenditori non si fidano più di Conte, tutti unanimi nel reclamargli iniziativa, progetti, visione e trasparenza. Non gli resta che il gradimento popolare, seppure anche questo, settimana dopo settimana, si stia corrodendo impietosamente. La musica sta cambiando e anche lui adesso comincia a pensare che così è difficile proseguire. Parafrasando Don Backy, «senza futuro né presente non si può vivere eternamente».
I disastri economici e sociali, comprese le mille bugie sul Covid-19, stanno logorando il premier, avendogli già fatto perdere, nelle ultime settimane, gran parte dei suoi supporter. Perfino quella frangia di Vaticano che per un attimo aveva sperato in un partito cattolico intorno a lui, ma soprattutto gli Usa e le cancellerie europee che ormai implorano un capo del governo italiano con esperienza e grandi rapporti internazionali come l’ex presidente della Bce, Mario Draghi o, secondo Guido Gentili su Il Sole 24 Ore di ieri, come l’ambasciatore Giampiero Massolo, per anni ai vertici della Farnesina e dei servizi di sicurezza.
Il Pd deve ancora partire ma è già nel vicolo cieco
A Conte sta soprattutto crollando quel mondo che ruota attorno al Movimento 5 Stelle, circostanza per lui drammatica dopo la presa di distanza nei suoi confronti sia da parte del Quirinale che del Pd di Nicola Zingaretti, di Italia Viva di Matteo Renzi e quell’«intellighenzia» che ruota attorno a Massimo D’Alema, in seguito alle inchieste della magistratura sugli allarmi inascoltati della comunità scientifica sulle zone rosse e, «last but not least», al brutto pasticciaccio sui rinnovi dei vertici delle barbe finte, delle «paperinate» con la ministra Azzolina sull’inizio dell’anno scolastico fino al dilettantismo del ministro dell’economia Roberto Gualtieri. Contro la Casaleggio Associati, fino a poco tempo fa alleata con il Premier, c’è un gruppo pentastellato agguerrito, capitanato da Roberto Fico, Paola Taverna e Stefano Patuanelli, che sta meditando iniziative clamorose: aprire un’inchiesta interna su come la società capitanata da Davide Casaleggio abbia utilizzato realmente i fondi pari a circa venti milioni di euro girati dai parlamentari del M5S ed indire un referendum interno per decidere se continuare o meno ad appoggiarsi alla piattaforma Rousseau. Quasi una beffa per chi ha decretato vita e destino di uomini e iniziative con poche migliaia di voti «vendute» come il volere del popolo. Il timore è, infatti, che Casaleggio Jr, per riprendere forza nel Movimento, indica una consultazione «digitaldemocratica» che incoroni re a 5 Stelle Alessandro Di Battista. Mentre i vari Crimi, Bonafede, Fraccaro, Buffagni e comparsette varie sono in gran fermento. Davide Casaleggio ormai ha solamente dalla sua, oltre allo stesso Di Battista, i modesti Max Bugani e Barbara Lezzi. Dal canto suo, Luigi Di Maio per ora si limita ad assistere sornione, consolidando una posizione di grande potere anche all’esterno e mantenendosi equidistante dai due facinorosi poli. Del resto, sa che la società che possiede il simbolo pentastellato è in parte anche sua. E sa anche che alle prossime elezioni, quando mai ci saranno, chi ha il simbolo è come chi tiene il banco: comunque vince.