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Durigon: "D'Amato ha fatto così pure col coronavirus"

Franco Bechis
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Sì, «ho letto con molta attenzione quello che avete scritto e l’indagine della Corte dei Conti sui contributi pubblici usati in modo secondo loro illecito da Alessio D’Amato». Ma Claudio Durigon, ex sottosegretario al Lavoro della Lega, deputato e coordinatore del partito a Roma vuole fare una premessa: «Sono garantista, non voglio passare per uno che punta con facilità l’indice contro altri. Vale anche per un avversario politico come l’assessore alla Sanità della Regione Lazio...».
D’accordo, però una idea di quel che è avvenuto se la sarà fatta.
«Assolutamente. Questa indagine della Corte dei Conti sui contributi per altro fa il paio con quelle che riguardano la gestione della sanità nella Regione Lazio guidata da Nicola Zingaretti. C’è la vicenda delle nomine dei dirigenti, quella delle mascherine. Ed ora quella che riguarda D’Amato e la gestione personale di contributi che dovevano andare ad associazioni ed onlus e invece avrebbero preso altra destinazione perseguendo fini politici personali. Si sta scoperchiando il vaso di Pandora di questa sinistra, almeno a leggere queste ultime carte della finanza per la Corte dei Conti. Poi ovviamente i diretti interessati possono fornire la loro spiegazione, e noi la ascolteremmo volentieri. Sono curioso, come sono curioso anche di vedere i passi della magistratura sulla vicenda delle mascherine, con milioni di fondi pubblici versati ad aziende assai improbabili».
Le vengo dietro. Uno può sbagliare nell’utilizzo o nella contabilità dei fondi pubblici e appunto le indagini debbono appurare se ci sia stato dolo o meno come nel caso D’Amato. E può anche sbagliare nella scelta di aziende per cercare le mascherine in momento di emergenza. Ma quando in un caso come nell’altro davanti alla richiesta e alla urgenza di recuperare quei soldi non si muove un dito, non è più questione di garantismo, le pare?
«Ha perfettamente ragione. È molto imbarazzante assistere a questo menefreghismo. Stiamo parlando di soldi pubblici, che appartengono ai cittadini. Si buttano via con leggerezza e non si recuperano alle casse pubbliche come è dovere fare. Devo dire che anche nella vicenda D’Amato quei soldi andavano già a una associazione molto particolare, però nemmeno per quei fini sono stati spesi».
Ecco, se devo dirle anche a me pareva strano che soldi dei contribuenti del Lazio fossero spesi per finanziare una onlus che si batteva contro il disboscamento dell’Amazzonia. Fine nobilissimo, ma che c’entrano i contribuenti laziali con quella missione?
«Sì, il fine era nobilissimo. Ma ha ragione lei, ci sono altri canali di finanziamento pubblico più adatti per quello. Tanto i fondi non sono stati spesi per quello, ed è appunto la cosa molto, ma molto più grave. Certo adesso bisogna recuperare quella cifra come chiedono i magistrati contabili chiedendola indietro a chi l’ha spesa in modo così difforme».
Non sarà così facile, sa? Magari è una coincidenza, ma davanti alla prima richiesta della Corte dei Conti alla Regione Lazio di recuperare quei 275 mila euro, l’assessore D’Amato ha protetto e reso impignorabili i suoi beni immobili costituendo un fondo patrimoniale insieme alla consorte...
(ride) «Magari l’ha fatto per proteggerli da altre possibili cause, chi lo sa? Capisco i timori, ma oggettivamente queste azioni si compiono quando si sa che qualche rischio c’è perché qualcosa non quadra come dovrebbe. Però io voglio stare sulle considerazioni politiche, non giudiziarie...».

Certo, lei è un politico, non un pubblico ministero. Però qui non stiamo parlando di responsabilità penali, ma civili che è un po’ diverso. Quale è il suo ragionamento politico?
«Semplice: D’Amato avrebbe già da tempo dovuto dare spiegazioni in consiglio regionale del Lazio di questa vicenda. Non l’ha fatto. Ora glielo chiediamo. E se non è in grado di dimostrare che tutto sia falso, allora è doveroso che rassegni le dimissioni dall’incarico che ha. E anche sulle mascherine tutto tace e non viene spiegato nulla...».
Ammettiamo che lì li abbiano fregati: fanno la figura dei polli, ma forse non c’è dolo...
«Sì, ammettiamolo. Ma ammettiamo anche che se una cosa così l’avesse fatta il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, sarebbe venuto giù il mondo, no? Lo avrebbero impiccato (figurativo) insieme alle cinque prossime generazioni».
Non ha torto su questo. Ma a me sembra politicamente ancora più stupefacente che dopo avere buttato via i soldi acquistando beni fantasma e finanziando associazioni politiche personali invece che onlus invece di chiedere indietro il dovuto, si faccia finta di niente, no?
«Sì, è la cosa più grave. Come il silenzio generale che accompagna questo spreco di soldi. E ancora più la spocchia di chi dovrebbe restituire quei soldi e invece fa la morale e punta il dito ogni giorno su altri spesso per coprire la propria inefficienza. Mi riferisco proprio all’assessore D’Amato. È incredibile che invece di rispondere delle pecche della sua gestione abbia usato sedi istituzionali come Salute Lazio per attaccare i suoi avversari o altre Regioni: prima la Lombardia che era sotto una pazzesca emergenza sanitaria, ora la Sardegna. Chi fa politica attacca ed è normale, ma non usa per farlo siti istituzionali che appartengono a tutti e non sono privati. Il personaggio è andato abbondantemente oltre i limiti. Io credo che debba rientrarvi venendo a spiegare in consiglio regionale tutti i punti oscuri e se non ci riesce mi sembrano doverose le dimissioni. Anche per lo stato della sanità nel Lazio».
A che si riferisce?
«A una gestione drammatica, con chiusura di molte strutture e ospedali. C’è andata bene durante l’emergenza perché i numeri in Lazio non sono stati alti. Ma quella è fortuna. Perché D’Amato ha fatto scelte politiche e non tecniche anche nella gestione della emergenza, come quelle sugli ospedali Covid, aperti scientificamente dove gli interessava avere consensi politici. Ecco, con un modo di gestire di questo tipo non mi meraviglia proprio quel che ho letto nelle carte della Corte dei Conti».

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