Frattura nel lavoro
Dipendenti pubblici privilegiati, il governo pensi alle partite Iva
Una frattura senza precedenti si sta creando nel mondo del lavoro italiano ai tempi del coronavirus. Due universi separati. Nel primo universo troviamo i garantiti: i dipendenti della pubblica amministrazione, della scuola, del settore pubblico e via di seguito. Nel secondo i non garantiti: i lavoratori del settore privato, i commercianti, gli artigiani, i ristoratori, le partite iva, i piccoli imprenditori. Due mondi non paralleli, con la crisi che morde destinati a scontrarsi, se il governo rossogiallo di Giuseppe Conte non la smetterà di privilegiare i primi dimenticandosi dei secondi. Sul primo mondo del lavoro è di questi giorni la notizia che circa 250mila tra docenti e professori potrebbero chiedere di restare a casa e di non rientrare a scuola per via delle loro condizioni di salute fragili. Ovviamente per loro si parla di aspettativa e di 250mila supplenti da trovare con un inevitabile aumento della spesa pubblica. Nel secondo mondo, invece, queste soluzioni non esistono e se un commerciante, una partita iva, un ristoratore, un piccolo imprenditore, chiede di non pagare le tasse per un anno causa coronavirus e lockdown nessuno al governo rossogiallo li ascolta. Loro, nella cultura della sinistra, e pure del centrosinistra, sono considerati i furbi, quelli che non pagano le tasse alla faccia dei concetti di equità e di eguaglianza con cui quasi ogni giorno gli esponenti della maggioranza si riempiono la bocca. Ma davvero pensate che il Pil italiano, cari governanti, possa riprendersi con questo andazzo, con le categorie del lavoro divise tra privilegiati e non e magari seguendo le richieste dei sindacati? Prendiamo un altro mito del governo grillin-piddino con l’appoggio dei renziani: lo smart working. Bene, nella pubblica amministrazione è assai diffuso (spesso con un allungamento dei tempi per le pratiche) ma provate voi a farlo in un ristorante od in certe imprese artigiane. Anche il lavoro a distanza, quindi, diventa un elemento non di uguaglianza ma di privilegio, tra chi lo può fare continuando ad esser pagato senza andare in ufficio e chi no. Il paradosso, anzi il cortocircuito, è quindi tragico: i costi della macchina pubblica per i lavoratori pubblici che aumentano, pagati dalle tasse dei lavoratori privati per i quali la crisi da coronavirus non rappresenta una eccezione visto che le gabelle dovranno comunque pagarle. Se un intellettuale non certo liberista o di destra come il filosofo Massimo Cacciari, già alla fine del marzo scorso aveva messo in guardia il governo un motivo ci sarà: “Ci sono famiglie senza reddito - avvertiva Cacciari - piccoli artigiani, piccoli imprenditori. I provvedimenti del governo tardano e non se ne comprende la modalità. Si interviene sulla cassa integrazione e va bene, ma riguarda una categoria di lavoratori. Sul totale dell'occupazione il settore secondario è il 10%. E tutto il popolo delle partite Iva, cosa fa? Non si può andare avanti così. Ho tantissimi amici che piangono disperati. La situazione diventa tragica”. Parole chiare che oggi - davanti alla notizia dei 250mila professori che potrebbero chiedere l’aspettativa mentre i ristoratori, i commercianti, le partite iva fanno i conti con la crisi ma devono comunque cercare di continuare a lavorare per non affondare - il governo Conte dovrebbe imparare a memoria per prendere subito dei provvedimenti con lo scopo di aiutare tutti quelli che lavoratori pubblici non sono e stanno sul mercato, o su quel che resta di esso. Perché se una cosa è sicura, in questi tempi dove il coronavirus ha cambiato le nostre vite tra paure e crollo economico, beh se una cosa è sicura è che l’Italia non ripartirà mai senza una vera pace sociale tra lavoratori di diversi settori e categorie. E per averla devono finire i pregiudizi. Il centro-sinistra giallorosso la finisca dunque di trattare i ristoratori, i commercianti, gli artigiani, le partite iva, come lavoratori di serie b e li aiuti. Concretamente. Perché il tempo delle chiacchiere è scaduto.