Paralizzati dalla paura e il Paese va in rovina
Paralizzato dalla paura. Questa espressione, nella lingua italiana, descrive molto bene i momenti in cui una paura, o più paure, immobilizzano il nostro agire, bloccandoci come in un lockdown improvviso del nostro cervello. Ebbene oggi questa espressione, paralizzata dalla paura, è la fotografia dello stato del nostro Paese, l’Italia. Dopo una estate trascorsa, dal governo e dalla gran parte dei media, a cercare capri espiatori del perché il coronavirus circolasse ancora, colpe affibbiate di volta in volta ai giovani, alle discoteche, a chi se n’era andato in vacanza all’estero, al calcetto amatoriale, con l’autunno che si avvicina ci stiamo accorgendo di non aver pensato ad organizzare quasi nulla per la ripartenza.
Sulla riapertura delle scuole, dopo mesi di chiacchiere, il nostro governo non sa ancora da dove cominciare mentre il bisticcio con i punti di vista (sulle riaperture) di alcuni governatori regionali si fa pressoché quotidiano. Per non parlare del trasporto pubblico, a cominciare dagli autobus, strumento essenziale per far ripartire le attività di un Paese, compresa la scuola. Dopo mesi di una comunicazione governativa tutta incentrata sulla paura, con il mantra quotidiano dell’attenti che così vi richiudiamo - soltanto alcuni giorni fa Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute Roberto Speranza lanciava l’allarme sulle elezioni regionali del 20 settembre e sulla riapertura delle scuole a rischio, salvo poi correggere il tiro - oggi l’Italia è paralizzata.
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Nessun stupore quindi per le notizie di cronache di queste ore, con parte del personale scolastico, come in Veneto, che non vuol tornare a lavoro, con i presidi che avvertono di non volere responsabilità in caso di contagi nelle loro scuole, con 8 italiani su 10, secondo un sondaggio del quotidiano "Libero", contrari alla riapertura delle scuole, con i dipendenti della pubblica amministrazione che preferiscono continuare a lavorare da casa e chissenefrega se i tempi per le pratiche, già lunghi, diventano biblici per i cittadini. Tanto arriveranno gli aiuti europei a salvarci, pensano in molti. Beati voi. Qui il nostro Paese sta tornando ad un Medioevo economico e sociale, tra paure ed elemosine, ma nessuno che ci governi che sembri rendersene conto. Anzi, se sollevi delle critiche, beh allora sei un negazionista del virus. Ma fateci il piacere. Qui nessuno nega il coronavirus ma non possiamo per questo non accorgerci della totale incapacità di una classe dirigente che non sa dare risposte al Paese, se non la narrazione della paura. Come se in Italia, paese tra i più vecchi per età della sua popolazione, di paura non ce ne fosse già abbastanza senza bisogno di tirarla in ballo tutti i giorni. E siccome i fallimenti delle classi dirigenti non arrivano mai da soli, alcune considerazioni le meritano anche l’informazione e le opposizioni.
Prima l’informazione. Peschiamo a caso tra i titoli sui grandi giornali dei giorni scorsi. Corriere della Sera, 13 agosto, pagina 2. «Se i numeri crescono lockdown inevitabili. Per la scuola e non solo sarebbe un incubo». Si trattava di una intervista ad Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico (l’ormai famoso Cts), giusto due giorni prima di Ferragosto. La Stampa, 14 agosto. «Covid, in arrivo una nuova stretta». La Repubblica, stesso giorno. «Il virus si estende». L’elenco, ovviamente, potrebbe continuare. Ma il punto già è chiaro: il dibattito estivo più che a ragionare su come far ripartire il Paese si è consumato tra notizie di allarmi, bollettini quotidiani dei contagi e i soliti cattivi di turno da additare al pubblico. Nulla di strano, quindi, che oggi l’Italia e gli italiani siano paralizzati dalla paura. Anche perché le opposizioni a questo governo, anziché puntare sui grandi temi liberali e di ripartenza per la nostra economia, sono andate in ordine sparso, il modo migliore per facilitare l’azione della maggioranza. Il resto è presente. Una nazione attaccata ai bonus, alle sovvenzioni e alla benevolenza dell’Europa. E intanto l’autunno si avvicina.