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Calenda si chiama fuori: "Non mi candido a sindaco di Roma"

Fernando Magliaro
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«Io non mi candido. L’ho già detto: il mio impegno è dare vita a un partito per i popolari, liberali e riformisti». Carlo Calenda, leader di Azione, è molto chiaro: a correre per sindaco di Roma non ci pensa proprio. «Non lo farei neanche se avessi l’appoggio del Partito Democratico». 
Ha bruciato la seconda domanda. 
«Non ci sono le condizioni: piuttosto che appoggiarmi il Pd si butterebbe nel Tevere preferendo appoggiare la Raggi. E, in secondo luogo, io non credo che con questo Pd si possa governare Roma».
Caratteristiche del candidato ideale?
«Primo: aver amministrato realtà complesse, Non si può mettere a governare una grande città chi non ha mai amministrato nulla. Poi, capacità di immaginare la missione di Roma che oggi manca perché è stata amministrata talmente male che non ci sono i servizi di base».
Quali?
«Il core business della città: trasporti, decoro urbano e sicurezza che oggi sono fuori controllo».
Poi?
«Va immaginata l’area di sviluppo: nel Piano per Roma l’avevamo accennato. Ad esempio, il turismo. Roma attrae un turismo di basso livello. Non attrae quello congressuale, sportivo, medico che sono quelli che spendono più soldi. Per attrarli bisogna costruire un piano che li renda attuali ma se hai i cinghiali per strada...».
Altri nomi di peso - Enrico Letta o David Sassoli o Paolo Gentiloni - si sono comunque defilati. 
«Il Pd non so chi intenda candidare se Sassoli o Roberto Gualtieri. Ma mi pare che entrambi non siano interessati e i Dem sono nel pallone come su tante altre cose»...

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