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Referendum delle beffe, comunque finirà per l'M5s sarà una sconfitta

Francesco Storace
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Comunque vada finirà un regime. Il referendum elettorale di settembre forse non ha bisogno di tifoserie tra no e sì, come se fossero Orazi e Curiazi. Ed è probabilmente questo quello che terrorizza di più i mandarini che vorrebbero tenere in piedi la truppaglia di governo: i Cinque Stelle però hanno preteso di accendere la miccia che ora sta bruciando lentamente fino ad avvolgere di fiamme l’intero Palazzo istituzionale. Hanno tirato troppo a lungo la corda.

Vale la pena di tentare un ragionamento su quello che può accadere in una consultazione referendaria nella quale si sfidano inconsapevolmente identiche volontà di farla finita con una logica di casta quanto mai lontana dal popolo. Dopo il voto, tutto è destinato a crollare – paradossalmente a prescindere dall’esito della consultazione – sotto un’ondata di schede che comunque metteranno a soqquadro il sistema politico, da qualunque parte lo si voglia guardare. Ed è ammirevole anche lo scontro sui social, l’unico che vale la pena di seguire, visto che in televisione fanno a gara – soprattutto le forze di maggioranza, Pd e grillini – a fuggire dal confronto. Su Facebook come su Twitter se ne dicono di tutti i colori e forse i toni sono davvero troppo alti. Vorremmo suggerire di tenere il fiato pronto all’uso per il doporeferendum quando ci sarà bisogno di alzare la voce contro i signori che non vogliono sloggiare dal potere occupato abusivamente.

 

 

 

Le ragioni – tra i sì e i no – potrebbero stare da entrambe le parti e non è casuale il granitico forse del Pd, indeciso a tutto. In fondo chi si scatena per il no fa un ragionamento elementare: sbarazzarsi dei Cinque stelle, la vera calamità che ha frenato ogni possibilità di sviluppo della nazione. E chi se ne frega se restano mille parlamentari. La botta elettorale – sostengono – sarebbe troppo forte per Di Maio e compagnia, non potrebbero resistere all’onda contro di loro. A frenare l’avanzata del No è il consenso delle sardine, semmai, troppo antipatiche...La vittoria del sì farà sorridere i Cinque stelle e Conte per una giornata, mentre chi si fregherà le mani per davvero saranno Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il combinato disposto – stando alle previsioni – del taglio dei parlamentari e della contemporanea vittoria del centrodestra nella maggior parte delle regioni, delegittimerà le Camere con i loro mille deputati e senatori assieme allo stesso governo che avrà al suo fianco pochissimi governatori rimasti in sella. E fa sorridere Nicola Zingaretti che dopo aver visto votare tre volte contro la riforma il suo Pd, ora se ne esce dicendo che sono decenni che la sinistra vuole tagliare i parlamentari. Ma non se ne era accorto nessuno. Il sì esporrà anche il Colle. Perché se il popolo italiano vuole solo seicento parlamentari e non più mille, chi rischia grosso sarà anche il prossimo inquilino del Quirinale, che dovrà essere eletto – o rieletto – da una base inferiore di onorevoli e guai a pensare di poter tagliare pure i delegati regionali: il loro numero non è messo in discussione dalla riforma costituzionale che si vota il 20 e il 21 settembre. Con quel voto si darà più spazio alla voce dei territori per eleggere il Capo dello Stato. Inimmaginabile una base parlamentare di elezione del Presidente composta ancora da mille Grandi Elettori.

Giriamola come vogliamo, ma la sensazione che si ha è che con il voto referendario ci troveremo di fronte allo spartiacque che separa davvero l’oggi dal domani. Sarà comunque un’altra storia: i grillini ne hanno probabilmente sottovalutato i rischi.

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