cartellino rosso

Elezioni regionali, la compravendita di Conte

Franco Bechis

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è intervenuto a piedi uniti sulle elezioni regionali a poche ore dalla chiusura delle liste facendo pressing sul Movimento 5 stelle perché in Puglia e nelle Marche molli i suoi candidati governatore e si unisca al Partito democratico. La richiesta è arrivata nella ennesima intervista del premier a Marco Travaglio e ha già ricevuto due comprensibili vaffa dai candidati governatori grillini delle due Regioni. Più secca la pugliese Antonella Laricchia: «Non chiedetemi di piegare la testa, trovate il coraggio di tagliarla», un pizzico più cortese il marchigiano Gianni Mercorelli: «Comprendo Conte perfettamente, ma evidentemente non è al corrente di quello che succede sui territori».

Ma il no di entrambi è chiaro. Fatti di Conte e dei suoi alleati, potreste dire voi lettori. Così sarebbe e perfino chi non è loro seguace potrebbe gongolare per la scivolata intempestiva del presidente del Consiglio: ha un solo precedente nella storia, quello di Massimo D’Alema premier e l’intervento a gamba tesa sulle regionali gli si rivoltò contro facendolo sloggiare pure da palazzo Chigi. Solo che Conte non ci pensa nemmeno un secondo a mettere in gioco la sua poltrona come fece il lìder Maximo, che certo era uomo d’onore e non ominicchio. E dopo essere entrato a gamba tesa, la ritira subito impaurito: «Sono elezioni regionali, non politiche. Ne abbiamo già affrontate in passato. Non si tratta di dare un voto al governo». Speriamo che il premier non voglia utilizzare con la spregiudicatezza che lo accompagna i dati sul coronavirus come clava sulle elezioni regionali. Perché a pensare male si fa peccato, ma purtroppo ci si azzecca. E ho un dubbio: non è che se Pd e M5s si uniranno in Puglia e nelle Marche le elezioni si terranno, ma se resteranno divisi le urne verranno rinviate per emergenza coronavirus?

  

Ma c’è un altro elemento inserito nel pressing del premier che riguarda tutti noi. Perché allude al più spregiudicato uso dei soldi pubblici che mai si sia provato ad immaginare. Un fallo da cartellino rosso immediato. Ecco le sue parole: «Queste elezioni regionali coincidono con un appuntamento storico per l’Italia. Stiamo elaborando un Recovery Plan, finanziato con ingenti fondi europei (...). Le Regioni saranno coinvolte in questi progetti e diventeranno anche dei centri di spesa. Ovviamente il governo non farà distinzioni di colore politico nei confronti dei governi regionali. Ma le forze di maggioranza dovrebbero avere tutto l’interesse a competere al meglio per essere protagoniste in questa partita anche a livello regionale».

Sembra una frase innocua, ma non lo è affatto. Primo perché il presidente del Consiglio si sente quasi eroico a dire che sui fondi europei «il governo non farà distinzioni di colore politico nei confronti dei governi regionali». Ci mancherebbe: sono mica soldi suoi e della sua maggioranza! A nessun uomo delle istituzioni sarebbe mai venuto in mente un’osservazione così. Ma anche la seconda parte della frase è di una gravità inaudita. Perché ve la traduco con parole meno avvocatesche: «Non distinguerò, dividendo sui territori regionali il Recovery Fund, fra le Regioni governate da quei puzzoni del centro-destra e le altre. Ma ci troveremmo assai meglio se al loro posto ci fossero i miei sudditi prediletti, quelli rosso-gialli a cui posso ordinare in ogni momento il menù che voglio».

 

 

 

Perfino nella sventolata generosità sono parole di un re, non di un premier. E non è una questione banale di stile, perché sottintende qualcosa di assai più grave a cui andrebbe posto immediato rimedio. Conte ha evidentemente l’idea di un uso proprietario sia dei fondi perduti che dei prestiti che l’Unione europea ha intenzione di erogare per l’Italia. Li ritiene soldi suoi che munificamente può distribuire. Anche se a pagarli in gran parte saranno tutti gli italiani, e fra loro soprattutto quelli cui toccherà fra molti anni ripagarli. Governi diversi da quello di Conte a cui saranno legate le mani, e contribuenti che oggi - come notava giustamente Mario Draghi a Rimini - sono giovanissimi.

Credo che anche questa intemerata del premier per le piccole elezioni in due Regioni debba fare suonare un campanello di allarme importante soprattutto sul Colle più alto della Repubblica italiana. Mi appello per quel che possa contare nel mio piccolo al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: il Recovery Fund non può essere lasciato nelle mani del premier, da cui va separato il prima possibile per proteggere milioni di italiani e garantire tutti quelli che ne porteranno il debito sulle spalle nei prossimi anni. Molti storcono il naso su ipotesi di governissimo dell’emergenza, e ne capisco e condivido le ragioni. Ma la gestione di quei soldi è diritto di tutti, del governo che c’è e di quelli che verranno come di tutti gli italiani. Va tolta prima possibile a palazzo Chigi e portata in un organismo istituzionale che rappresenti tutti gli italiani. Confido nel presidente della Repubblica, ultimo baluardo a difesa degli italiani da prepotenze di questo tipo.