scandalo in parlamento

Furbetti del bonus, caccia ai tre deputati. Pressing sull'Inps per i nomi

Tutti con il dito puntato contro l’Inps sui nomi dei furbetti del bonus. I partiti, il piccolo scandalo che ha riaperto la questione morale in Parlamento, chiedono all’ente guidato da Pasquale Tridico di rendere noti i ‘colpevoli’. Ma l’ente ribadisce il dovere di mantenere il segreto. C’è chi accusa l’Inps di “metodo barbaro” nella diffusione della notizia, come il presidente di Iv Ettore Rosato che annuncia: “Nessun parlamentare di Italia Viva ha preso alcun bonus", smentendo quanto trapelato il giorno prima. E chi, come Vito Crimi e Luigi Di Maio, con una mossa fantasiosa chiede formalmente a ciascun deputato di rinunciare al diritto alla privacy inviando una e-mail per consentire all’istituto previdenziale di pubblicare nomi e cognomi. Risultato: uno scontro senza precedenti fra diritto alla privacy (di chi ha percepito legittimamente l’aiuto) e il diritto a essere informati dei cittadini.

Intanto fonti di Montecitorio spiegano che i richiedenti del bonus sarebbero cinque, ma soltanto tre lo avrebbero nei fatti ricevuto. Incertezza sui partiti di appartenenza: c’è chi dice siano tutti della Lega e chi insiste che ci sia anche un Cinquestelle. Se le indiscrezioni fossero confermate, l’effetto sarebbe quello di incrinare ancora di più la posizione del numero uno del Carroccio. Se ieri Matteo Salvini invocava la sospensione dei politici, chiunque fossero, oggi ad affondare la lama è il presidente del Veneto Luca Zaia.

  

"Faccio un appello a tutte le forze politiche – dice il ‘governatore’ dato in ascesa nei sondaggi - , non possiamo trincerarci dietro alla privacy, perché tutti gli amministratori pubblici chiariscano la loro posizione, a partire dal Consiglio regionale. Ci mettiamo poco a fare una sorta di #metoo al contrario". Dichiarazione letta come un guanto di sfida all’attuale leader leghista, il cui indice di gradimento ha conosciuto una piccola battuta d’arresto a vantaggio di altre figure del centrodestra come appunto Zaia o la stessa Giorgia Meloni di Fdi.

Mentre tra i Cinquestelle c’è chi come Carlo Sibilia mette in dubbio la proposta del capo politico e si chiede se sia il caso di arrivare ”addirittura” alla rinuncia al diritto alla privacy quando basterebbe un sussulto di dignità da parte di chi ha commesso l’errore, ammettendolo di propria sponte. Dello stesso avviso la pentastellata Federica Dieni che in un post su Facebook chiede di non creare casi mediatici e di non “far odiare i politici”, ma di migliorare piuttosto le leggi esistenti. Leu, Fdi, Fi e Pd rinnovano l’invito ai beneficiari a dimettersi.

Nel balletto delle responsabilità, nel frattempo spuntano le prime autodenunce. Alcuni, come la consigliera comunale di Milano Anita Pirovano o il consigliere comunale di Ancona Francesco Rubini, sono giovani e precari e pubblicamente ammettono di non vivere di politica. E scatta la rabbia al contrario. “Adesso cari populisti da strapazzo, odiatori di professione, leoni da tastiera e buffoni vari – scrive amaro su Facebook Rubini - venite a prendermi per processarmi in pubblica piazza nella vostra ridicola guerra contro 'i politici ladri'. Vi aspetto a braccia aperte”.