lo spettro dell'emergenza

La seconda ondata di Conte. Si attacca a tutto per tenere la poltrona

Alessandro Giuli

Va bene il principio di precauzione, è giusto essere prudenti e disciplinati, guai ad abbassare la guardia contro la presenza endemica del Coronavirus in Italia e peggio ancora nel resto del Vecchio Continente. E tuttavia non sfuggirà all’osservatore disincantato come lo spettro autunnale del Covid-19 venga impugnato preventivamente dal governo pentademocratico come un salvacondotto nella prospettiva post-elettorale che seguirà le regionali di settembre. La singolare resistenza alla pubblicazione dei verbali del Comitato tecnico-scientifico, ieri resi noti da questo giornale, si sta accompagnando a una manovra mediatica di natura chiaramente allarmistica per giustificare la proroga dello stato d’emergenza e il corredo di provvedimenti monocratici della presidenza del Consiglio.

 

  

L’obiettivo del Conte bis non è neppure troppo celato: andare avanti quanto più possibile in un regime di controllo sociale fondato sulla paura e sull’angoscia residuale derivata dal terribile, quotidiano rito della disperazione andato in scena nella primavera scorsa in coincidenza con le conferenze stampa della Protezione civile. A ciò si aggiunge ovviamente la spaventosa ricaduta economica e sociale in atto e destinata ad acuirsi nelle prossime settimane. Di fronte a tale scenario, dopo aver offerto una prova d’insipienza con la pletora dei decreti (dal Cura Italia al decreto Agosto passando per il Semplificazione e altre fantasmatiche definizioni), invece di rifocillare robustamente le tasche dei cittadini bisognosi, la maggioranza si ostina a proporre un meccanismo di mancette labirintico e demagogico.

Sono i così detti contributi che si articolano in crediti d’imposta e bonus indifferenziati al dettaglio, per esempio quelli per le vacanze, le baby sitter, i monopattini o le biciclette elettriche e perfino i pasti al ristorante. Si tratta di escogitazioni deboli, farraginose e spesso prive di filtri all’ingresso: è di due giorni fa la notizia di una gang di rapinatori africani residenti a Torino ma trasmigrati ad Alassio grazie al bonus vacanze. Conte e i suoi ministri non sono capaci di attutire l’urto della crisi economica, pretendono di proseguire con le «cure compassionevoli» aspettando la panacea europea promessa per l’anno prossimo: il Recovery fund.

Ma sappiamo bene di che si tratta: un aiuto tanto sostanzioso in astratto quanto blindato dal sistema dei vincoli esterni ed erogabile in dose omeopatica. Come e forse più del Mes. Tutt’altra cosa rispetto al tesoretto o alla «diligenza» da non assaltare ciecamente raccontata dalla propaganda governativa (posto che il richiamo al senso della misura da parte del Quirinale resta in ogni caso sacrosanto).
La cruda realtà dice che a Palazzo Chigi manca una visione strategica che non si riduca all’attesa dei quattrini europei (fra i quali figurano anche i nostri non indifferenti contributi) e alla volontà di tirare a campare fino alle votazioni del successore di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica previste per il 2022. Tutto ciò, nella fatua speranza che intanto si riduca la stupefacente forbice che divide il consenso del centrodestra dal potere impugnato l’estate scorsa dai ribaltonisti. Partito democratico e Movimento 5 Stelle, con renziani di complemento al seguito, cercano di acquistare tempo con i soldi dei contribuenti europei confidando di far sgonfiare la bolla della popolarità di Matteo Salvini, se non addirittura di rimuoverlo dalla scena per vie giudiziarie; promettono a Silvio Berlusconi una riabilitazione onorevole in cambio d’un carsico aiuto numerico nel tramestio parlamentare e puntano a isolare l’arrembante Giorgia Meloni con i suoi Fratelli d’Italia. La vera seconda ondata, al momento, è la risacca dei giallorossi.