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Governo, via alle grandi manovre: il caso Spadafora apre il rimpasto

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Ufficialmente nessuno lo vuole, ma il rimpasto di governo sembra inevitabile. Nonostante le forze di maggioranza neghino cambi in corsa della squadra, lontano dai riflettori le trattative sono già partite da tempo. Al punto che più di una fonte conferma che possa esserci addirittura prima delle elezioni regionali di settembre. A riaprire il 'Vaso di Pandora' è il caso di Vincenzo Spadafora, andato molto vicino alle dimissioni dopo la protesta del direttivo M5S della Camera contro la riforma della governance dello sport italiano. Il ministro Cinquestelle era pronto al passo indietro, ma - spiega chi conosce dall'interno il mondo pentastellato - Giuseppe Conte lo ha convinto a restare, di fatto rafforzandone la posizione.

Non accadrà lo stesso con altri colleghi, anche se non sarà una rivoluzione. Più che altro una "rotazione", così dicono le voci di dentro della maggioranza. Prima dei nomi, però, va chiarito il metodo, partendo dal dato acclarato e confermato da quasi tutte le forze in campo: Italia viva avrà un altro ministero, anche se Matteo Renzi nega e chiede di pensare al "problema numero uno, l'occupazione". Ad oggi la probabilità più alta è che sia il Movimento a cederne uno. E da più parti indicano Nunzia Catalfo tra i destinati a lasciare l'esecutivo. Nel giro di boa, infatti, al ministero del Lavoro potrebbe andare un renziano: si vocifera Maria Elena Boschi, anche se il partito dell'ex premier sogna in grande, magari l'Istruzione, sebbene Lucia Azzolina sembra essersi rafforzata nei rapporti interni al suo gruppo di appartenenza. O comunque appare difficile sostituirla alla vigilia della riapertura delle scuole.

C'è, poi, chi dice che il vero obiettivo sia la Difesa. Difficile, però, che il Pd si privi di un elemento di peso come Lorenzo Guerini. Potrebbe, invece, accettare un avvicendamento al Mit, con Paola De Micheli che lascerebbe posto a un altro esponente dem. Mentre al Nazareno non interessa il Viminale. Almeno questo è il messaggio di Nicola Zingaretti in una "lunga e cordiale" telefonata con Luciana Lamorgese, alla quale il segretario dei democratici conferma l'appoggio, "smentendo qualsiasi iniziativa o interessamento per rimpasti o incarichi di governo". In effetti, la possibilità che il governatore lasci la Regione Lazio a meno della metà del secondo mandato è improbabile. È possibile, però, che ad entrare nella squadra di Conte sia il vice segretario, Andrea Orlando, rimasto fuori per sua scelta un anno fa. Servirebbe a rinforzare il premier e la coalizione. Una sorta di 'blindatura' che non dispiacerebbe affatto a Palazzo Chigi, in vista dell'autunno caldo per colpa della crisi economica scatenata dal coronavirus.

Il nome di Orlando riporta subito la mente al ministero della Giustizia, ma quel posto è occupato dal capo delegazione M5S, Alfonso Bonafede. Certo, in politica nulla è per sempre, spesso accade che gli incarichi ruotino e per il Guardasigilli potrebbe esserci un'altra sistemazione di prestigio. Negli ambienti pentastellati non sembrano essere un mistero le mire dem su via Arenula, anche se le dichiarazioni pubbliche degli alleati dicono il contrario. C'è chi sussurra del Viminale, ma quella opzione sembrerebbe aperta anche per Orlando, nonostante le rassicurazioni di Zinga a Lamorgese. Nessun rumors, infine, su Roberto Gualtieri, dato saldamente al Mef, come Dario Franceschini al Mibact, Teresa Bellanova al Mipaaf, Stefano Patuanelli al Mise, Roberto Speranza alla Salute e Luigi Di Maio agli Esteri.

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