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Riforma della Giustizia, cosa prevede: nella bozza tutti i limiti alle toghe in politica

Valeria Di Corrado
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Dopo la crisi di credibilità abbattutasi sulla magistratura con il «caso Palamara», che ha svelato al grande pubblico la prassi consolidata della spartizione tra le correnti delle poltrone al vertice di procure e tribunali italiani, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede prova a porre un argine alla deriva che ormai, sempre più spesso, porta i magistrati a fare politica, svestendo e rivestendo la toga. Nel pre-Consiglio dei ministri convocato per oggi pomeriggio, tra i punti all’ordine del giorno, c’è anche la discussione del «Disegno di legge recante deleghe al governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario».

Tante le novità che si vorrebbero introdurre. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari «non sono eleggibili alla carica di membro del Parlamento europeo, senatore o deputato o a quella di presidente della giunta regionale, consigliere regionale, presidente delle province autonome di Trento e di Bolzano o consigliere provinciale nelle medesime province se prestano servizio, o lo hanno prestato nei due anni precedenti la data di accettazione della candidatura, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nella circoscrizione elettorale». La stessa limitazione si applica ai magistrati che vogliono candidarsi a sindaco di un comune con più di centomila abitanti, per l’assunzione dell’incarico di assessore e sottosegretario regionale e di assessore di comuni capoluogo di regione. «Non sono in ogni caso eleggibili - si legge nel ddl - i magistrati che, all’atto dell’accettazione della candidatura, non siano in aspettativa da almeno due mesi». Per quanto riguarda i magistrati in aspettativa candidatisi ma non eletti alle medesime cariche, nei successivi tre anni «non possono essere ricollocati in ruolo con assegnazione ad un ufficio avente competenza in tutto o in parte sul territorio di una regione compresa in tutto o in parte nella circoscrizione elettorale in cui hanno presentato la candidatura», né possono tornare nell’«ufficio del distretto nel quale esercitavano le funzioni al momento della candidatura». È vietato, inoltre, sempre per 3 anni, esercitare le funzioni di pm, giudice delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, di ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi. Fatto sta che, in direzione opposta, va la decisione della V commissione del Csm presa all’unanimità di nominare capo della Procura di Lucca Domenico Manzione, ex sottosegretario di Stato da maggio 2013 a giugno 2018. Un’altra criticità è che nella bozza del ddl non viene affrontato il «nodo» dei magistrati che si candidano alle primarie di partito, vengono sconfitti e poi tornano tranquillamente al loro ufficio.

Leggi la bozza della riforma della giustizia

L’altra novità voluta da Bonafede, per «limare le unghie» al potere delle correnti, è quella di «individuare tramite sorteggio» i consiglieri del Csm che dovranno comporre la commissione incaricata di valutare il curriculum dei magistrati candidati agli uffici direttivi. In direzione opposta, invece, va la decisione di aumentare le «poltrone» a Palazzo Marescialli - 20 togati invece degli attuali 16 e 10 laici invece di 8 - e quella di introdurre il meccanismo del doppio turno o del ballottaggio nell’elezione dei consiglieri togati. Ciò porterebbe infatti le due correnti più forti ad accordarsi per il secondo turno, tagliando fuori le altre.

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