fanno melina

United sòla of Benetton. Conte si è fatto mettere nel sacco sulle autostrade

Entro la fine dell'anno il governo di Giuseppe Conte farà scattare gli aumenti dal primo gennaio delle tariffe autostradali che sono stati congelati negli ultimi due anni. Quindi contrariamente all’impegno politico, viaggiare in autostrada costerà di più e non di meno. I maggiori incassi naturalmente finiranno in pancia ad Autostrade per l’Italia (Aspi), che a inizio dell’anno prossimo sarà ancora controllata a stragrande maggioranza dai Benetton attraverso la società Atlantia che possiede l'88% del capitale. Sta prendendo una piega assai diversa dagli annunci fatti dal premier a metà luglio il braccio di ferro con i Benetton, anche se le partite che si stanno giocando sono essenzialmente due, come i tavoli presso cui si sta trattando. Uno è quello del confronto con il Ministero delle infrastrutture 

e i Trasporti, dove si sta aggiornando il Piano finanziario di Aspi con qualche litigio fra le parti ma con la sostanziale volontà comune di arrivare a un memorandum di intesa entro la prossima settimana. L'altro, assai più delicato, è quello della trattativa fra i manager del gruppo Benetton e quelli della Cassa depositi e prestiti (Cdp) guidata da Fabrizio Palermo che secondo i piani del governo dovrebbe diventare in più mosse il nuovo azionista di riferimento di Aspi. E qui la trattativa è tutt'altro che facile, e da giorni piena di fuochi di artificio. Nelle ultime 24-36 ore i Benetton hanno presentato tre proposte diverse che sapevano fin dall'inizio indigeste per Cdp, poi quando il confronto sembrava quasi saltare, sul tavolo è arrivato sempre dal gruppo Atlantia uno schema assai più vicino a quanto deliberato dal consiglio dei ministri. Difficile capire se anche questa mossa sia tattica, ma è sicuro che i Benetton stiano facendo melina guadagnando tempo e facendo leva sul punto debole della controparte: Cdp è in campo ovviamente per soddisfare le indicazioni del suo azionista, che è in sostanza il governo, ma non può procedere per statuto se le caratteristiche dell'operazione non saranno di mercato. Non può cioè fare alcun passo nella direzione voluta se l'investimento fin dall'inizio dovesse apparire non profittevole. Ha bisogno di prevedere nei suoi piani una redditività realistica dei miliardi di euro che dovrebbe investire in Aspi. E siccome i tempi tecnici dell'operazione non possono essere quelli propagandati dalla politica (quindi è con certezza da escludere che il comando di Aspi possa passare dai Benetton a Cdp entro la fine del mese di dicembre 2020), il governo Conte rischia di trovarsi fra qualche settimana in evidente imbarazzo, perché la sua soluzione al “caso Benetton” non sarà affatto quella annunciata.

  

Il gruppo di Ponzano Veneto sta forzando la mano, anche utilizzando in interdizione fondi esteri di investimento e perfino gli hedge funds presenti nel capitale, e lo fa per alzare il prezzo della cessione del comando cercando di massimizzare il proprio vantaggio. Ma sa di potere contare su quel punto debole della parte pubblica. Da un lato Cdp che non può buttare via i soldi del risparmio postale che gestisce, e quindi non può accettare un piano di riduzione delle tariffe autostradali né regole di ingaggio così punitive come quelle che il ministero aveva pensato avendo di fronte i Benetton. E dall'altra il governo che rischia di perdere la faccia una prima volta facendo aumentare quei pedaggi che aveva promesso in diminuzione e una seconda volta quando si scoprirà che ad incassare il vantaggio almeno per qualche mese saranno ancora i Benetton.

Politicamente dunque quella che era stata spiegata come gran successo si sta trasformando in una sorta di Waterloo per Conte e la sua maggioranza. Ma c'è anche un secondo aspetto che rischia di appesantire la figuraccia. Ed è la risposta banale banale alla domanda: “Ma alla fine chi pagherà per il disastro del ponte Morandi?”. Sotto il profilo giudiziario sicuramente i manager del gruppo Benetton, perché la responsabilità penale resta in capo a loro. Sotto il profilo delle cause civili la legge stessa prevede la manleva obbligatoria rilasciata dalla vecchia alla nuova proprietà, quindi anche quelle resteranno in carico alla famiglia Benetton.

Ma la riposta non è la stessa quando si passa alla penale “politica” prevista per la caduta del Ponte, e cioè a quei 3,4 miliardi di euro di “oneri compensativi e risarcitori” che il governo ha previsto nella sua delibera. Di questo le parti si stavano parlando a lungo da tempo, tanto è che nel giugno scorso nella relazione al bilancio 2019 di Aspi i manager Benetton facevano riferimento a una cifra di poco inferiore: 2,9 miliardi già previsti nei propri conti.

Una parte - 700 milioni - era la cifra diretta per pagare demolizione e ricostruzione della infrastruttura, e di questa circa la metà è già stata versata al sindaco di Genova, nella sua funzione di commissario straordinario per la ricostruzione. Altri 700 milioni (che potrebbero salire secondo la nuova richiesta a 1,2 miliardi di euro) erano l'incremento “dell'ammontare delle manutenzioni evolutive nel periodo 2019-2023”.

Infine 1,5 miliardi di euro sono stati appostati a fondo rischi per essere impegnati su indicazione del governo nello “sviluppo infrastrutturale del Paese”. Tutta la cifra dunque viene dal bilancio di Aspi, e per stanziarla si è attinto alla riserva di utili della società e in parte all'indebitamento che per altro per circa un miliardo è assicurato proprio da un finanziamento di Cdp.

Un peso che oggi è sulle spalle di Atlantia e quindi indirettamente della famiglia Benetton, come quello complessivo degli oltre 8 miliardi di indebitamento netto della società Autostrade. Ma se Aspi passa dal controllo di Atlantia a quello di Cdp anche tutto ciò che è contenuto nel suo bilancio, debiti compresi, passa di mano. Risultato? Quei 3,4 miliardi di risarcimento per la caduta del ponte Morandi allo Stato che avrebbero dovuto pagare i Benetton peserà invece su Cdp, e quindi in ultima istanza sullo stesso Stato italiano. Una beffa.