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Arriva la mazzata delle tasse. "No" del governo alla proroga

Riccardo Mazzoni
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Nella seconda quindicina di luglio c’è un ingorgo di tasse pazzesco: 246 scadenze fiscali, con il 93,5% di versamenti. Sarà la mazzata finale per molte partite Iva e per molti baristi e ristoratori che secondo la viceministra Castelli dovrebbero chiudere definitivamente e riconvertire le loro attività, chissà come, chissà dove e chissà quando. Sembra incredibile, ma il governo, sordo agli appelli di tutte le categorie produttive, ha ufficializzato all’ultimo momento che non intende concedere alcuna proroga. Poi, per lavarsi la coscienza, ha delegato il sottosegretario grillino Villarosa a comunicare al Parlamento il suo «rammarico». Oltre al danno, quindi, anche la beffa. Fu infatti lo stesso Villarosa, meno di un mese fa a garantire solennemente che il M5S si impegnava a spostare al 30 settembre le scadenze fiscali di oggi, 20 luglio, dicendosi certo «che tutte le forze politiche convergeranno sulla posizione del Movimento». Parole al vento, come quasi tutte le ex questioni di principio del grillismo di lotta e di governo.
I commercialisti hanno minacciato di entrare in sciopero già da oggi - il tax day più nero dell’anno - chiedendo una rateizzazione per i saldi relativi ai redditi 2019 guadagnati pre-Covid e, dal prossimo anno, un pagamento a consuntivo dell’anno precedente che tenga conto del periodo dell’emergenza. L’Italia, fanalino di coda d’Europa per il combinato disposto tra debito e crescita, ma anche per l’incapacità di far arrivare alle imprese prestiti tempestivi e risorse a fondo perduto, è invece in testa alla classifica dei vampiri fiscali: chiedere infatti l’anticipo delle tasse come acconto a chi non ha fatturato neanche un euro durante il lockdown, minacciando anche pesanti sanzioni, è una pretesa illogica, degna di uno Stato di polizia fiscale. Ma di fronte alle proteste il governo non ha fatto una piega, affidando la spiegazione a una nota burocratica scritta ovviamente dgli uffici del Tesoro: «L’ulteriore proroga richiesta inciderebbe sull’elaborazione delle previsioni delle imposte autoliquidate della Nota di aggiornamento al Def che, come noto, deve essere presentata al Parlamento entro la fine del mese di settembre».

 

 

 

Tanta indifferenza di fronte al grido d’allarme congiunto di liberi professionisti, partite Iva, commercianti e artigiani non può derivare solo dall’incultura assistenziale e anti-impresa che è l’unico vero denominatore comune della pericolosa alchimia rossogialla. Spostare le scadenze del 20 luglio al 30 settembre sarebbe infatti il minimo sindacale, l’atto dovuto di qualsiasi governo responsabile che avesse a cuore la coesione sociale, e anzi sarebbe necessaria una moratoria fiscale per consentire un ulteriore recupero di risorse da reinvestire. Dai dati Mef degli ultimi 3 anni risulta chiaro che imprenditori e partite Iva costituiscono la spina dorsale del Paese: se queste due realtà si uniscono e si fermano, il governo affonda con loro. Siccome è un ragionamento quasi banale, e qualche testa pensante nella maggioranza comunque c’è, se il Tesoro tira dritto e nega la proroga ci dovrà pur essere una ragione vera e seria, e se questa c’è può essere solo una: le casse dello Stato sono al lumicino, e senza un’immediata iniezione di liquidità attraverso le tasse dei lavoratori autonomi c’è il rischio che manchino i soldi per pagare pensioni e stipendi. Un’ipotesi troppo pessimistica? Non possiamo che augurarcelo. Ma allora il governo ha il dovere di dare subito un segnale in controtendenza rispetto alle criticità che si prospettano. Se si continua a colpire chi crea ricchezza, in tanti non rialzeranno le saracinesche, con gravissime conseguenze sociali: milioni di disoccupati, economia stagnante e valanghe di tasse inevase. Sarebbe un cortocircuito micidiale.
 

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