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Recovery fund in salita. Conte vuole i soldi senza condizioni

Angelo De Mattia
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Il Premier Conte, intervenendo in Parlamento sull’istituzione del Recovery Fund, in vista del summit europeo di domani e del 18 luglio, ha, detto, tra l’altro, che il progetto non potrà essere svilito da una mediazione al ribasso, che il volume delle sovvenzioni debba essere coerente con la proposta della Commissione Ue ( 500 miliardi), che nessun Paese può avvantaggiarsi a danno di altri e che l’Europa deve ora essere all’altezza della sua storia, della sua civiltà, del suo destino. 

 

In questo difficile tornante della storia, ha soggiunto il Premier, vinciamo tutti o perdiamo tutti. In sostanza, con un discorso che ha cercato di stimolare l’orgoglio nazionale ed europeo, ha indicato, come punto fermo, solo quello dei trasferimenti a titolo gratuito. La parte del «Fund» riguardante i prestiti a titolo oneroso ( 250 miliardi nella proposta della Commissione) non è stata affrontata: è verosimile che le mediazioni si concentreranno su di essa. Ma, naturalmente, così si fanno i conti senza l’oste, fuor di metafora, i cosiddetti Stati frugali e i Paesi di Visegrad. Se non si toccheranno granché gli importi, il livello della mediazione che questi Partner imporranno non sarà basso, sia per ciò che alcuni vorranno vedersi assicurato – gli sconti, i «rebates» - mentre altri mireranno alla preservazione dei fondi di coesione, sia per le riforme da introdurre, da coloro che ricorreranno alle sovvenzioni e ai prestiti, sulla base di una impostazione condizionale, in parte anticipata anche da Angela Merkel, nonché dei relativi controlli. 

 

Ancora tutto da esaminare è il concreto funzionamento del Fondo e come sarà effettivamente strutturata la governance. Sarà, comunque, difficile in questo caso, con le sovvenzioni a fondo perduto, eccepire su condizioni e controlli, a meno che essi non si proiettino nell’ampio campo macro-economico, arrivando a istituire addirittura una sorveglianza sul Paese che ha ottenuto le risorse che sarebbe inaccettabile. 

In ogni modo, sarà possibile depotenziare le obiezioni dei Paesi di cui si è detto sopra? Fondamentale a questo riguardo sarà l’azione della Germania, ma non secondaria potrà risultare la mossa con la quale si mettano in discussione aspetti del bilancio comunitario pluriennale, di particolare interesse per alcuni Paesi, in specie tra i «frugali», a cominciare dagli speciali regimi fiscali. Certo, questa sarà la strada pecorrendo la quale «perdono tutti», per rimanere alla formula di Conte, ma, come minaccia, potrebbe risultare una «extema ratio» di una certa efficacia. Restano, comunque, i dubbi in alcuni dei Partner sulla coesione e durata dell’attuale maggioranza e sulla capacità di assumere decisioni di non breve periodo, impegnative e tali da esigere un contesto di stabilità politico-istituzionale. 

 

D‘altro canto, il problema di come spendere i denari che potremo ricevere è ben evidente, tanto che Conte rinvia a settembre per il piano di rilancio e resilienza. Insomma, tutto ancora di là da venire. Convitato di pietra resta il Mes con il permanere di un temporeggiamento ormai ingiustificabile perché non si decide di aderire, ma neppure si contesta, cosa che potrebbe farsi, il rischio di condizionalità che deriva dal fatto che le fonti giuridiche superiori, Trattato e Regolamenti, prevedono la possibilità di imporre condizioni ai beneficiari dei prestiti e non sono affatto derogate dalla lettera dei due Commissari che tale possibilità escludono. Insomma, siamo ancora lontani da un approdo sicuro, recando con sé la questione del Recovery Fund e quella del Mes problemi ancora maggiori che involgono la tenuta e il futuro dell’Esecutivo.
 

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