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Paragone inchioda Conte: un'emergenza costruita solo per farsi gli affari propri

Gianluigi Paragone
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Siamo in emergenza? No. E allora perché se non c’è una emergenza in corso, il governo chiede di prorogare lo stato di emergenza? Procediamo con ordine. Il 31 gennaio scorso il governo Conte bifronte, quello nato per non concedere pieni poteri all’ex alleato Salvini, si prese poteri eccezionali per fare fronte all’emergenza Coronavirus. Scadenza 31 luglio. 

Forte di questi poteri colui che, Costituzione alla mano, sarebbe un normale presidente del Consiglio primus inter pares, diventa un vero e proprio premier, titolare di poteri tanto pieni da sospendere un diritto fondamentale come quello della libertà di movimento, con un semplice atto amministrativo qual è il decreto dpcm. (Conosco l’osservazione: se c’è un virus pericoloso in corso, il diritto alla salute può essere considerato un valido motivo per sospendere la libertà di circolare liberamente, di fare impresa, di andare a lavorare. Bene, allora con lo stesso potere però rimedi agli effetti del lockdown che impattano sull’economia, a cominciare dalla cancellazione delle bollette e delle tasse fino al 31/12. Nulla di tutto questo.)

 

Siamo alla vigilia della fine di luglio e il premier Conte - ancora titolare di poteri eccezionali, ricordiamocelo - chiede la proroga dello stato di emergenza. Perché? Per prevenire, dicono. Insomma, si tratterebbe di una emergenza in potenza e non in atto. Qualora passasse un concetto del genere (e passerà perché al governo di sono gli amici del Potere) la possibilità di avvalersi di pieni poteri in regime di straordinarietà per far fronte a una potenziale emergenza potrebbe diventare un potere arbitrario, proprio perchè quella emergenza non c’è.

 

Torniamo così alla domanda iniziale: perchè Conte vuole la proroga di un potere eccezionale? Per un fatto tecnico o per un fatto politico? Il primo indizio è già una prova: fosse stato per Conte quel diritto a prendersi i poteri gli doveva essere riconosciuto punto e basta. Il fastidio di abitare in una repubblica parlamentare lo obbliga alla finzione del dibattito in aula. Una formalità garantita da una maggioranza formato scimmiette. Detto questo, proviamo a dare per buona l’opzione «lo chiede per un fatto tecnico»: il virus riprende forza e si corre il rischio di una seconda ondata. Il professor Sabino Cassese, ieri sul Corriere, ha ricordato che a fronte di una urgenza simile il ministro della salute può emettere ordinanze «contingibili e urgenti» senza per questo creare stati d’eccezione come accadrebbe con lo stato di emergenza, spazio normativo che «giustifica qualsiasi cosa».

 

Vale inoltre la pena ricordare alcune date della prima ondata e domandarsi se nel governo ci sono o ci fanno.

 «Il virus arriva in Italia»: così titolano i telegiornali del 30 gennaio riferendosi a due turisti cinesi atterrati una settimana prima dalla Cina su Malpensa. Il giorno dopo il governo blocca i voli dalla Cina. Per il governo e per i cittadini è l’inizio dello stato di emergenza. Rewind. Il 22 gennaio una circolare del ministero prescriveva il tampone in caso di polmoniti insolite «senza tener conto del luogo di residenza o della storia di viaggio»; insomma c’era già traccia che qualcosa a cavallo tra dicembre e gennaio stesse preoccupando i medici, soprattutto quelli di base. Quella frase sul tampone generico scomparirà cinque giorni dopo (il 27), prescrivendo i tamponi solo per chi provenisse dalla Cina. Il 31 comincia lo stato di emergenza, i pieni poteri. Ma manca il piano di emergenza. Infatti sarà il caos.

Il 21 febbraio arriva il cosiddetto paziente zero italiano all’ospedale di Codogno, il quale con la Cina non c’entrava nulla. Il che appunto manda in tilt la logica del decreto del 31 gennaio, proprio per l’assenza di un piano organico. Tre mesi fa circa un team di quattro giornalisti del Corriere della Sera pubblicò una inchiesta dettagliata sulle falle delle direttive legate al virus. E scoprì con tanto di ammissione di Andrea Urbani, un direttore generale del ministero della Sanità, che già a gennaio un documento conteneva scenari troppo drammatici sulle conseguenze del coronavirus tanto da deciderne la secretazione «per non spaventare i cittadini». 

Nonostante i pieni poteri concessi al governo sono arrivate le spaventose falle sulle terapie intensive, sui macchinari che arrivano da governi stranamente amici, sui tamponi, sulle mascherine, sui camici per il personale eccetera. Per non dire del caos totale a proposito della scuola, delle imprese e persino nella già complicata macchina della Pubblica amministrazione dove con lo smart working i risultati sono peggiori rispetto a prima. Da qui la domanda, se coi poteri eccezionali e con il Paese praticamente bloccato a casa il governo non è riuscito a gestire l’emergenza, a cosa sono serviti quei superpoteri? Riposta, a rafforzare le relazioni di potere dei vari Conte, Di Maio, Zingaretti, Renzi... Parlamento svuotato, task force, nomine e inciuci vari a Villa Pamphili. Mentre l’economia reale va a sbattere in una crisi globale, che per l’Italia è ancor più grave perché da Prodi a Di Maio ci hanno svenduti ora ai tedeschi ora ai cinesi. Se dunque vi domandate perché al governo serve prorogare lo stato di emergenza la risposta è una soltanto: a farsi gli affari propri a danno degli italiani.
 

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