repressione hong kong

Hong Kong, Pd e M5S non disturbano i compagni del regime cinese

Pietro De Leo

Certi valori sono tanto facili da teorizzare quanto aspra ne è la pratica e riprova se ne ha proprio in questi giorni con il dossier Hong Kong. Riassunto delle puntate precedenti: c’è una riforma sulla gestione della sicurezza, approvata dal Comitato Permanente del Congresso Nazionale del Popolo Cinese, che di fatto restringe la quota di libertà ed autonomia dell’ex colonia britannica. Ed entrando a piedi uniti, mandandolo all’aria, sui contenuti dell’accordo tra Inghilterra e Cina del 1984. In base a quell’intesa, il principio di “un Paese, due sistemi” sarebbe dovuto restare in vigore fino al 2047.

Ora, ben 27 anni prima della scadenza, va tutto all’aria. Questo vuol dire mano libera alla repressione degli slanci autonomisti, e soprattutto anticomunisti. Questo vuol dire superamento del sistema giuridico locale di common law, che aveva fino a questo momento consentito di mantenere vive le garanzie. Insomma, una virata liberticida per un Paese, la Cina, tra i principali commensali della globalizzazione.  Ieri pomeriggio Matteo Salvini è andato con una delegazione del partito a manifestare, con uno striscione, davanti alla sede dell’ambasciata a Roma. Così come ripetute sono state le prese di posizione di Fratelli d’Italia e Forza Italia sull’argomento. Parallelamente, si registra un generalizzato silenzio del governo, interrotto al massimo da qualche dichiarazione di sgangherato cerchiobottismo. Tipo quella di Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri, il quale ha provato a cavarsela sostenendo l’insostenibile, ossia: “Posso condannare l'attuazione di una legge, non la legge in se'. Voi avete mai visto un Paese straniero condannare un legge fatta in Italia?”. Ora, sull’interventismo mediatico dei Paesi stranieri verso l’ Italia basta andare indietro di un anno e mezzo, per mettere in colonna gli strali delle altre cancellerie europee sulla politica di contrasto all’immigrazione clandestina voluta da Salvini come ministro dell’Interno. Per quanto riguarda invece l’altro assunto del pentastellato, ossia che di una legge si contesta al massimo l’applicazione e non il merito, a parte l’ardua separazione dei due concetti, dovrebbe essere rilevante, per la comunità internazionale, quando una iniziativa di legge assunta da un Paese viola palesemente l’accordo stretto con un altro. Perché questo è quel che sta accadendo tra Cina e Hong Kong.

  

Alle spericolate riflessioni di Di Stefano, poi, si affiancano i silenzi del Presidente del Consiglio Conte e del ministro degli Esteri Di Maio. Quest’ultimo così solerte nel festeggiare gli aiuti cinesi all’Italia nelle prime settimane di diffusione del Coronavirus qui da noi, quanto ultra abbottonato quando occorre eccepire, oltre alla questione di Hong Kong, a quella sull’origine della pandemia. Su quest’ultimo nodo, oltretutto, la pressoché intera area della sinistra si è esibita in un sabba di indulgenza, nella cui logica non venivano chieste spiegazioni a Pechino ma, piuttosto, ci si preoccupava che in Italia non si verificassero discriminazioni nei confronti i cinesi presenti sul territorio.

Memorabile la galleria di esponenti Pd  raffigurati sui social, gaudenti, gustare involtini primavera. Poi si è visto com’è andata a finire. E ora non si leggono che sporadiche dichiarazioni di area pd sulla repressione di Hong Kong: Il capogruppo al Senato Andrea Marcucci, il deputato Emanuele Fiano, la senatrice Valeria Fedeli; oltre ai parlamentari in commissione esteri del Pd che invocano un intervento dell’Esecutivo nell’organismo.

Tuttavia il Segretario Zingaretti tace e l’impressione non è certo quella di una mobilitazione profonda ed incisiva del partito (ad esempio non pare che, nelle innumerevoli discussioni che stanno agitando la vita del governo ci sia pure questo tema). Chissà cosa sarebbe accaduto se, in un universo parallelo, una questione vagamente simile avesse riguardato gli Stati Uniti. Oggi tutto tace, il generone degli intellettuali progressisti ancora una volta si è dimostrato capacissimo a comprimere la libertà da valore universale in valore da cortile. E le bandiere arcobaleno, che un tempo sventolavano in ogni finestra di quelli che piacevano alla gente che piaceva, adesso rimangono nel cassetto.