Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Addio Palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi trasloca. Fabrizio Cicchitto: era la casa della libertà

Pietro De Leo
  • a
  • a
  • a

L’addio di Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli significa, simbolicamente, la messa in liquidazione storica della Seconda Repubblica. «In parte è così», ragiona al telefono con "Il Tempo" Fabrizio Cicchitto, «per capire la questione bisogna entrare nel cuore del progetto del centrodestra e capire i ritmi di Berlusconi». Premessa: Fabrizio Cicchitto è stato un protagonista di primissima fascia di quell’epopea: più volte deputato, poi vicecoordinatore di Forza Italia e in seguito capogruppo alla Camera del Pdl. Poi la scissione con Alfano che lo vide lasciare la creatura azzurra per fondare Ncd.

Palazzo Grazioli, fulcro di un mondo.
«Tenere insieme un’alleanza come quella del centrodestra, con An e la Lega, non era facile. Richiedeva un lavorio continuo, una fatica incredibile. Che si svolgeva in tre luoghi. Al centro c’era Palazzo Grazioli a Roma, dove assieme a Berlusconi c’era il suo "ambasciatore" Gianni Letta. Poi Arcore e Villa Certosa in Sardegna. Questi tre punti erano coperti da Berlusconi che vi teneva relazioni pubbliche, politiche e persino diplomatiche. Basti pensare che nelle sue residenze passarono anche Putin e Blair. Berlusconi ha sempre tenuto dei ritmi incredibili, all’incirca dalle 6 e mezzo, le 7 del mattino fino all’una di notte. Poi ad un certo punto anche oltre, essendosi aggiunta, all’attività politica, anche quella ludica...».

Tre regge per un unico monarca.
«La questione è più complessa. Forza Italia era uno strano partito. Le fila sulle decisioni finali le tirava Berlusconi, ma prima si discuteva, si litigava, pure in modo molto acceso, e anche le posizioni di Berlusconi venivano contestate. Non era di certo un ambiente dispotico. La democrazia berlusconiana aveva due espressioni».

Cioè?
«La democrazia gastronomica e la democrazia telefonica».

Partiamo dalla prima.
«Molte di queste riunioni, spesso drammatiche, si svolgevano durante la prima colazione, il pranzo o la cena. A presenze variabili, molto spesso secondo le simpatie del momento che nutriva Berlusconi».

La democrazia telefonica, invece?
«Si basava sulla figura di Marinella. Persona per bene, obiettiva, legatissima a Berlusconi. Oggi mi dicono sia tornata al suo fianco. Bene, lei raccoglieva tutte le chiamate che arrivavano: alcune le passava direttamente, su indicazione di Berlusconi; delle altre faceva una lista e gliela consegnava, così lui decideva chi far richiamare e chi no. Se qualcuno non veniva richiamato, quindi, non era per qualche meccanismo burocratico, che poi si è affermato in seguito, di taglio dei nomi».

Lei ha raccontato che queste riunioni erano molto sofferte e complicate. E il Berlusconi barzellettiere e battutista dell’immaginario collettivo?
«Lui si immergeva totalmente nella drammaticità della situazione, anzi, a volte la aumentava pure. Però aveva questo dono di fermare tutto, di tanto in tanto, e raccontare una barzelletta. Non c’era mai un andamento rettilineo. Ricordo una volta che, durante un ufficio di presidenza di Forza Italia piuttosto difficile, chiese a Simone Baldelli di fare la "rappresentazione teatrale" di Tremonti che gioca a scacchi con se stesso. La cosa era evidentemente concordata, perché Baldelli tirò fuori una specie di scacchiera di carta. Risero tutti, tranne Tremonti».

Quali furono i momenti più drammatici?
«Sicuramente le scissioni, prima quella di Fini e poi quella che riguardò anche me personalmente, con Alfano».

E poi anche la notte elettorale del 2006 fu dolorosa, per pochissimi voti contro Romano Prodi.
«Vicenda allucinante. Nel primo pomeriggio la vittoria del centrosinistra sembrava travolgente. Poi i rapporti cominciarono a cambiare, tanto che Prodi e gli alleati annullarono una manifestazione a Piazza Santi Apostoli. Poi, in serata, a Palazzo Grazioli arrivò Pisanu, ministro dell’Interno, che disse a Berlusconi: "Hai vinto sia alla Camera che al Senato", e rimase con lui a mangiare il gelato. Ma poi si ribaltò tutto. Berlusconi non intendeva riconoscere il risultato, e lì avvenne anche una rottura personale e totale con Pisanu. Ricordo che arrivai a Palazzo Grazioli quando cominciò la discussione sul da farsi. Berlusconi era convinto della manipolazione del voto e devo dire che pure io lo ero».

Palazzo Grazioli nell’immaginario collettivo è legato anche all’epopea delle cene eleganti.
«Erano il suo "Truman Show", c’era più esibizionismo che altro. Berlusconi ad una certa ora aveva bisogno di formare la macchina micidiale che aveva messo in moto, tutta politica. E questo rendeva i suoi ritmi ancora più pesanti. Io valutavo ciò un tragico errore, perché si era capito sin dall’inizio che i suoi nemici lo avrebbero utilizzato per colpirlo. Però la sua filosofia era "la vita privata è mia e ne faccio quello che voglio". E questo valeva sia per i nemici che lo attaccavano, sia per gli amici che gli consigliavano di interrompere».

Dai blog