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L'Italia che fallisce

Franco Bechis
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Invece di accapigliarsi sul Mes che non sanno nemmeno se e a cosa possa servire, i grandi capi del governo Pd-M5s farebbero bene a fermarsi a guardare cosa sta accadendo nel settore del commercio che per mille motivi è il più in difficoltà di tutti. Oggi pubblichiamo una lettera aperta per molti versi drammatica che una commerciante della provincia di La Spezia, Monia Petreni (che ha messo insieme altre 3 mila piccole imprese nella sua stessa condizione), ha scritto al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Ecco la storia banale banale: a inizio anno lei come tutti i suoi colleghi hanno ordinato ai fornitori merce (vestiario) per la primavera, senza sapere che sarebbero stati chiusi dal lockdown deciso dal governo di Giuseppe Conte. Quella merce non sono in grado di pagarla perché ovviamente non hanno potuto venderla.

 

 

 

Quando hanno consentito a loro la riapertura ovviamente non era più vendibile, perché i pochi clienti che timidamente si sono riaffacciati in percorsi e limitazioni quasi di guerra, facevano pochi acquisti tutti pensati sull'estate che stava arrivando. I fornitori però attendono quei pagamenti, e alla scadenza delle varie fatture raramente concedono grandi dilazioni: anche loro sono stati chiusi, non hanno lavorato, e non sanno come pagare fatture e stipendi. Il rischio è che l'intero settore sia travolto nei prossimi mesi da istanze di fallimento. Anche perché nulla di quello che fin qui ha messo in campo l'esecutivo è stato utile alle loro esigenze. Non possono indebitarsi di più, perché sanno già che non potrebbero restituire i soldi presi, e non hanno ricevuto fondi perduti minimamente in grado di compensare le perdite sofferte. 
Come illustra la nostra Damiana Verucci oggi sono almeno 20 mila i punti vendita a Roma che rischiano di chiudere anche per questo motivo, e secondo le prime stime sono destinati a scomparire almeno 270 mila esercizi commerciali in tutta Italia. Basta girare per i nostri centri storici (a Roma è plasticamente evidente) per capire come i negozi che hanno riaperto siano per lo più vuoti. C’è qualcuno che fa capolino nei punti vendita delle firme low cost (come quelle del gruppo Zara), e il vuoto assoluto altrove. La ragione è evidente: a Roma come a Firenze, Venezia, Milano e altre grandi città italiane il fatturato di quei centri storici era assicurato dal turismo che oggi in gran parte non c'è e che probabilmente quest'anno resterà un miraggio. 
Soffrono tutte le imprese che si appoggiavano su quel movimento di tedeschi, francesi, inglesi, spagnoli, americani, giapponesi, cinesi e quanti altri contribuivano a una parte consistente del Pil italiano. Sono la prima emergenza del paese ed è assai probabile che in parte diventino la nuova sacca di povertà italiana. Fin qui è come se il governo non li avesse nemmeno degnati di uno sguardo. Pensa di essersela cavata con qualche cassa integrazione ai loro dipendenti, che per altro ha tardato drammatiche settimane ad arrivare a segno e ancora oggi non è stata garantita a migliaia di lavoratori. 
Con la filosofia fin qui mostrata al massimo saranno disponibili a firmare un bel decretino con il titolo «vietato fallire» che si affiancherà al «vietato licenziare» che si vorrebbe prorogare fino alla fine dell'anno con i suoi bei ammortizzatori sociali così mal gestiti ed erogati. Mentre quel che serve è proprio l'esatto opposto: aiuti a fondo perduto che compensino le perdite subite nel lockdown non certo per colpa degli imprenditori, e anche quelle che ovviamente avranno dopo una riapertura così strettamente condizionata.
Perché in questo come in altri settori è interesse di tutto il paese fare vivere imprese ed esercizi commerciali che altrimenti morirebbero trasformando in deserti anche i centri storici delle nostre città d'arte. È un investimento consentire loro di vivere, mentre è un modo di buttare via solo risorse pubbliche preziose la strada scelta della esclusiva e sempre tardiva protezione sociale: serve solo se accompagna la prima scelta. 
Un governo deve avere come ossessione quella non della creazione, ma del mantenimento dei posti di lavoro perché se restano vive prima o poi quelle piccole imprese torneranno alla vita di prima e aiuteranno la crescita di tutti. Sembra invece che Conte e chi lo accompagna quasi punti al reddito universale che agognava nella sua utopia Beppe Grillo: tutti poveri e mantenuti dallo Stato nel pieno di una decrescita felice. Invece la povertà è in grado solo di replicare se stessa, e con migliaia di posti di lavoro che si perdono vanno in fumo altrettante tasse e contributi che servivano ad alimentare la macchina della assistenza pubblica: il mini reddito di sussistenza così non ci sarà mai per tutti. 
Leggetevi quello che scrive la signora Monia invece di battagliare con slogan ideologici sul Mes (che per altro non servirebbe a nulla in questa drammatica emergenza). E dimostrate che un governo sa essere di aiuto e non di intralcio a un paese come nella ripartenza ha tragicamente fin qui mostrato.
 

 

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