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Con le ultime "uscite" M5s salgono a 100 i voltagabbana in Parlamento

Carlo Solimene
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Siamo ancora lontani dal poco onorevole record della passata legislatura, quando i cambi di casacca in Parlamento sfondarono quota 600, ma l’occasione va comunque celebrata degnamente, trattandosi di cifra tonda. Da quando le nuove Camere si sono insediate, nel marzo 2018, sono infatti 100 giusti giusti i parlamentari che hanno abbandonato i partiti con cui erano stati eletti per accasarsi altrove. A far segnare il raggiungimento della tripla cifra sono state, nella settimana appena conclusa, le due grilline che hanno salutato Di Maio & Co. per raggiungere il gruppo Misto (la deputata Alessandra Ermellino) e la Lega di Salvini (la senatrice Alessandra Riccardi). Una tendenza che ha conosciuto un’impennata dopo la nascita del Conte bis soprattutto a causa di due fattori: la delusione di una parte degli eletti grillini che si erano trovati molto meglio con Salvini piuttosto con il Pd e la scelta di Matteo Renzi di abbandonare il partito di cui era stato finanche segretario e fondare Italia viva. Riscuotendo, va detto, assai più successo in Parlamento (17 senatori, 31 deputati) che nel Paese reale, dove stando ai sondaggi la sua creatura non riesce a schiodarsi dal 2% dei consensi.


Al di là del dato statistico, la circostanza suscita almeno un paio di riflessioni, una più politica, l’altra più tecnica. Quest’ultima muove dalla grande enfasi che ebbe, sul finire della scorsa legislatura, l’approvazione al Senato del nuovo regolamento interno che mirava proprio a scoraggiare il fenomeno del cosiddetto trasformismo. Tra i punti cardine di quella riforma c’era l’obbligo, per chi avesse abbandonato il gruppo di elezione, di lasciare gli eventuali incarichi ottenuti a Palazzo Madama, ad esempio le presidenze di commissione. In second’ordine, si istituì il divieto di creare nuovi gruppi che non fossero legati a partiti presentatisi alle elezioni (com’era avvenuto, invece, con Ncd 6 anni fa). Ebbene, tali norme non hanno sortito alcun effetto deterrente, se è vero che alla Camera non sono state varate eppure la percentuale di tranfughi è la stessa di Palazzo Madama: 68 su 630 contro 32 su 315. Non solo: anche il divieto di creare nuovi gruppi è stato aggirato al Senato grazie al collegamento fatto da Italia viva con il Psi di Nencini, che alle elezioni effettivamente c’era, sebbene solo come lista federata al Pd.

 

Per quanto riguarda la considerazione più politica, va segnalato che, fatta eccezione per il Pd che ha subìto una scissione, a pagare il prezzo più alto è stato, esattamente come nella scorsa legislatura, il Movimento 5 stelle. Ovvero la forza politica che più di tutte ha fatto della lotta al trasformismo una delle sue ragioni fondanti, al punto di aver proposto a più riprese, senza successo, l’introduzione del vincolo di mandato in Costituzione. I grillini (che hanno perso 13 senatori e 21 deputati) non possono neanche incolpare la tendenza italica al salto sul carro del vincitore, dato che sono l’unica forza restata perennemente al governo in questa legislatura...

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