sul filo di lana
Già iniziata la corsa per il Quirinale. Ma i giochi si fanno sul filo di lana
Sembra inverosimile, ma con l'Italia in mezzo alla peggiore recessione dal dopoguerra, con un governo diviso e incapace di gestire la crisi e con il Paese sull'orlo di una rivolta sociale, la maggioranza è impegnata sottotraccia ad elaborare strategie per il dopo Mattarella. Come canta Ramazzotti, insomma, quando le cose vanno male "è più facile sognare che guardare in faccia la realtà". Una realtà durissima, con un autunno che si annuncia drammatico. Ma è stranoto che alla base di questa alleanza senza capo né coda c'è un matrimonio di interesse motivato essenzialmente da due necessità: impedire agli italiani di votare per non consegnare il governo al centrodestra e arrivare, costi quel che costi, al 2022 e tenersi così stretta la golden share per l'elezione del nuovo capo dello Stato.
Tutto il resto, compreso ovviamente l'interesse del Paese, è stato derubricato a semplice dettaglio. Peccato che gli italiani stiano già pagando le amarissime conseguenze di questo patto scellerato, ma il variegato mondo rossogiallo non se ne cura, e dopo quelli di Villa Pamphilj ha pensato bene di avviare segretamente gli Stati Generali del Colle. Le grandi manovre, quindi, sono già iniziate, tanto che all'ultimo vertice del Pd un amareggiato Zingaretti ha ammesso che i Cinque Stelle "non presenteranno mai un candidato con noi". Renzi invece non si arrende: fin da ragazzo è uno che guarda lontano, e ieri ha rilanciato un patto con Pd e M5S per governare fino al 2023 "ed evitare un Orban al Quirinale".
Ora: vista la condizione più che traballante della coalizione rossogialla, che rischia di non avere i numeri al Senato già nei voti di luglio su Mes e scostamento di bilancio - e che a settembre dovrà affrontare elezioni regionali tutte in salita - ipotizzare un'intesa strategica che porti a fine legislatura sembra più un sogno di mezza estate che uno straccio di progetto politico. Ma non bisogna sottovalutare il senso per il potere della sinistra, e soprattutto del Pd, che non pago di stare al governo da un decennio senza avere mai vinto le elezioni, è anche preda di un riflesso pavloviano per cui, alla stregua di un partito-Stato, il Quirinale gli spetta di diritto. Finora la combinazione astrale gli ha consentito, anche nella lunga era berlusconiana, di esprimere ben quattro presidenti (Ciampi, Napolitano, Napolitano bis e Mattarella) nonostante una serie infinita e spesso indecorosa di pasticci e imboscate. Basti pensare al 2013, quando riuscì a bruciare con una gestione dilettantesca prima Marini, mandandolo allo sbaraglio, sorte che sarebbe toccata subito dopo a Prodi, cioè al fondatore del partito, richiamato inopinatamente dall'Africa e affondato nel segreto dell'urna dalla carica dei 101. E pensare che allora il Pd aveva la maggioranza almeno alla Camera, sia pure grazie a uno zero virgola in più che fece scattare il maxipremio del Porcellum. Ora - ammesso che la legislatura vada avanti - la situazione è molto più complicata: Franceschini si sente in pole position, ma c'è Conte che, nonostante la poltronissima occupata, si atteggia già a riserva della Repubblica, e dietro le quinte si muove felpatamente anche Casini.
La corsa sarà lunga e l'epilogo sicuramente tormentato. Intanto Pd e Cinque Stelle non hanno insieme i numeri per eleggere il capo dello Stato e poi appunto - se n'è accorto anche Zingaretti - dei grillini non c'è mai da fidarsi, come del resto dei giochi spregiudicati di Renzi. Le prossime regionali, poi, se i sondaggi sono giusti, potrebbero finire quattro a due per il centrodestra, che in quel caso governerebbe sedici regioni su venti e porterebbe quindi la grande maggioranza dei delegati per l'elezione del Presidente. E siccome la storia insegna che la corsa al Colle si è decisa spesso sul filo di lana, quei voti potrebbero alla fine diventare decisivi. Con una postilla doverosa: i Cinque Stelle che hanno la maggioranza relativa dei seggi in Parlamento non porteranno nemmeno un delegato regionale, essendo ovunque il secondo partito di minoranza. Poi si potrebbe ragionare sul fatto che, se passerà a settembre il taglio dei parlamentari, questo Parlamento sarebbe di fatto delegittimato ad ipotecare per un Settennato il Quirinale. Ma questo è un altro discorso: intanto ci devono arrivare, e non è detto.