la storia

Giù la mascherina, il governo Conte non ha scucito un euro

Franco Bechis

Mi chiama un imprenditore che conosco da tempo, e che ha insieme ad altri soci un gruppo composto di società medio piccole in diversi paesi. Era da qualche settimana in Italia per stare dietro alle difficoltà che le sue aziende hanno avuto in questo periodo come tutte le altre.

Il primo giugno è andato nell'ufficio di Londra. «Ho trovato una lettera sulla scrivania. Era scritta dal City Council e aveva allegato un assegno da 10 mila sterline. Il contributo a fondo perduto del governo britannico per quella piccola impresa». L'imprenditore non aveva fatto alcuna richiesta, ma pagando con quella impresa il business rate era inserito nel data base con quello che qui chiameremmo il codice Ateco, e avendo tutti i dati delle imprese, i comuni hanno erogato in automatico il contributo a fondo perduto previsto per quella fascia di fatturato avendo già ricevuto i trasferimenti del governo britannico destinati a quello scopo. Lo stesso aiuto è previsto in Italia: “ma ho dovuto fare domanda per 5 mila euro, e dimostrare che non ero un mafioso, che ero in regola con il pagamento delle tasse, che avevo ricevuto un danno e perché e per come, allegare una quantità di documentazione infinita. E il contributo a fondo perduto non l'ho ricevuto”. Lo stesso imprenditore ha chiesto in Italia un prestito superiore ai 25 mila euro con garanzia parziale dello Stato. “Anche qui sono andato in banca, che per fortuna mi conosceva da tempo e ho dovuto produrre una quantità infinita di pratiche. La banca ha fatto l'istruttoria e trasmesso tutto alla Sace per la garanzia. Sono passati ormai due mesi e non mi è arrivato nemmeno un euro”. A Londra invece “il 2 giugno mi sono messo al computer ho fatto l'applicazione per avere un prestito da 50 mila sterline granatite al 100% dal governo britannico dove mi chiedevano semplicemente quanto avevo fatturato nel 2019 e quanto prevedevo di fatturare nel 2020 con il lockdown. Il giorno dopo mi è arrivata una mail di conferma che l'operazione era andata a buon fine e la domanda in lavorazione. La mattina del 5 giugno la banca mi ha chiamato per avvertirmi che erano arrivati sul conto della società le 50 mila sterline con garanzia pubblica. Prestito rimborsabile in sei anni, il primo senza interesse, dal secondo in poi con il 2% di interesse annuo”. E due.

  

 

Ma c'era una terza necessità comune a quell'imprenditore in entrambi i paesi: la cassa integrazione. A Londra per 5 dipendenti, in Italia per otto dipendenti. In Italia avendo fatto la domanda a fine marzo ha anticipato lui la cassa per non fare restare senza soldi i suoi dipendenti. A fine aprile altro anticipo pensando a quelle famiglie. A fine maggio ancora così. Ma di soldi dallo Stato italiano nemmeno un euro. In Gran Bretagna “mi sono arrivati ogni mese i soldi della cassa integrazione cinque giorni prima del pagamento degli stipendi, in modo da essere sicuri di non mettere in difficoltà nemmeno un giorno quei lavoratori”.

Un danno evidente, ma anche una beffa, perché fra i due paesi c'era una differenza culturale abissale: “Lo Stato italiano parte dal principio che tu li voglia fregare, ti considera un poco di buono e prima di tutto devi discolparti. In Inghilterra quando ho fatto l'applicazione per il prestito mi è apparso solo un warning per dirmi che si fidavano di me e della veridicità dei pochi dati che mi avevano chiesto di inserire, ma che se avevo mentito loro erano in grado di controllare in automatico tutto e avrei pagato molto cara quella menzogna”. Fra questi due trattamenti c'è un abisso e i fatti lo dicono con tale chiarezza che non c'è bisogna di aggiungere altro. Ma quella differenza è esattamente quella fra un paese (la Gran Bretagna) che conosce le difficoltà del lockdown adottato e si preoccupa innanzitutto di dare la forza di attraversare la tempesta a chi altrimenti ne verrebbe travolto e chiuderebbe tutto senza speranza di un domani e un paese (questa Italia) che scrive male quattro norme confuse e inapplicabili nei suoi provvedimenti, le illustra in comizi dei suoi governanti che gonfiano il petto orgogliosi di avere dato questo e quello e non si preoccupa mai di controllare che qualcuno abbia davvero ricevuto.

Fa impressione ascoltare la piccola storia di questo imprenditore e vedere Giuseppe Conte, i suoi ministri e gli esponenti di punta di quella maggioranza trastullarsi in discussioni su come spendere un domani i soldi del Mes e del Recovery Fund che manco sanno se davvero potranno avere. Un gruppo di parolai a cui bisogna senza indugio tirare giù la mascherina, perché invece degli stati generali corrano ai mercati generali, e dai baristi, dai ristoratori, dai bottegai, dai piccoli e medi imprenditori per chiedere loro se e quanto è arrivato nelle loro tasche quanto scritto dai mille decreti. E se manca questo o quell'altro, si mettano in tasca premier, ministri, sottosegretari, presidenti di commissioni parlamentari, deputati, senatori, consiglieri regionali che da tempo non hanno veramente nulla da fare, quelle pratiche inevase per andarle a sbloccare di persona dove serve. Perché è una ferita al cuore vedere quante serrande non si sono rialzate e cominciare ad assistere a quelle che si sono riabbassate dopo avere provato a ripartire in ogni parte di Italia. Ristoratori che ti dicono che così “perderò un milione al mese” (sentito ieri a Roma), titolari di bar che dopo tre giorni hanno scelto di chiudere tutto “perché è impossibile farcela” (raccontato ieri su un grande quotidiano italiano), alberghi che non riaprono, balneari che hanno fatto la prova e poi ritirato tutto perché “tanto con queste regole non incasseremmo nemmeno da pagare i dipendenti, figuriamoci i fornitori”. Se tutti questi non ce la fanno ora, non servirà a nulla avere il più bel prestito internazionale o anche un fiume di denaro a fondo perduto un po' l'anno prossimo e un po' quelli successivi, perché chi è morto non resuscita senza miracoli, di cui non c'è nemmeno l'ombra. Forza premier, forza ministri. Sollevate le terga dalle vostre inutili poltrone e anche per vostro interesse girate l'Italia come trottole, prima che l'Italia dia il giro a voi.