parola di quirinale
Crisi Csm, se ne accorge anche Mattarella. Riforma subito
Dopo le polemiche che, a distanza di circa un anno, tornano a investire la magistratura a seguito della pubblicazione di conversazioni tra magistrati, legate al procedimento che coinvolge l’ex presidente dell’Anm ed ex membro del Csm, Luca Palamara, il Quirinale ha diffuso una nota. «In riferimento alle vicende inerenti al mondo giudiziario, assunte in questi giorni a tema di contesa politica, il Presidente della Repubblica ha già espresso a suo tempo, con fermezza, nella sede propria - il Consiglio superiore della magistratura - il grave sconcerto e la riprovazione per quanto emerso, non appena è apparsa in tutta la sua evidenza la degenerazione del sistema correntizio e l’inammissibile commistione fra politici e magistrati». «Il Presidente della Repubblica ha, in quella stessa sede, sollecitato modifiche normative di legge e di regolamenti interni per impedire un costume inaccettabile quale quello che si è manifestato, augurandosi che il Parlamento provvedesse ad approvare una adeguata legge di riforma delle regole di formazione del Csm».
«Una riforma che contribuisca - unitamente al fondamentale e decisivo piano dei comportamenti individuali - a restituire appieno all’Ordine giudiziario il prestigio e la credibilità incrinati da quanto appare, salvaguardando l’indispensabile valore dell’indipendenza della magistratura, principio base della nostra Costituzione». «Per quanto superfluo va, peraltro, chiarito che il Presidente della Repubblica si muove - e deve muoversi - nell’ambito dei compiti e secondo le regole previste dalla Costituzione e dalla legge e non può sciogliere il Consiglio superiore della magistratura in base a una propria valutazione discrezionale». «Il Csm, a norma della Costituzione, conclude il suo mandato dopo quattro anni dalla sua elezione e può essere sciolto in anticipo soltanto in presenza di una oggettiva impossibilità di funzionamento, condizione che si realizza, in particolare, ove venga meno il numero legale dei suoi componenti. Qualora ciò avvenisse il Presidente della Repubblica sarebbe obbligato dai suoi doveri costituzionali a convocare, entro un mese, nuove elezioni dell’intero organo, ovviamente secondo le regole vigenti per la sua formazione».