l'intervista

Enrico Mentana: dopo mesi di paura è tornata la rabbia

Massimiliano Lenzi

«Non pubblicare foto di Carnera a terra», segnalava una velina del Minculpop in epoca fascista. Perché in tempi di guerra (o di autoritarismi) l’informazione libera, quest’aria necessaria alla democrazia, rischia spesso di finire in propaganda. Oggi, anno 2020 della guerra al coronavirus, come se la passa la nostra libertà di informazione? E la politica? Lo abbiamo chiesto ad Enrico Mentana, direttore del Tg La7 (sintesi del suo presente, perché una biografia occuperebbe troppo spazio). Direttore, durante le guerre l’informazione rischia sempre la propaganda. Questa guerra al virus ha fatto rischiare la propaganda all’informazione italiana? «Ma no, no. C’è poco da propagandare. Quando si vivono tempi eccezionali, quando per due mesi il momento più atteso della giornata è il bollettino dei casi da coronavirus, delle terapie intensive e dei morti, c’è poco da dire. È propaganda o è libertà di informazione? Vivi in una situazione di coprifuoco ed è questo che abbiamo vissuto. Ovviamente, come sempre accade, come succede negli altri aspetti della vita, nelle cose commerciali, in una fase così c’è chi prende campo e chi ne perde. Per farle un esempio: i supermercati hanno potuto stralavorare, altre categorie non lo hanno potuto fare. E così nell’informazione e nella politica: è chiaro che la voce che contava era quella istituzionale, vuoi che fosse il Governo con il volto di Conte vuoi che fossero le emanazioni, come la Protezione Civile, che davano le notizie ed i numeri».  Per approfondire leggi anche: Mentana striglia di nuovo il premier Cosa ha tenuto insieme gli italiani? SE VUOI CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI