Quanta ipocrisia sugli immigrati
Gli italiani tornano a svolgere lavori umili che prima non volevano fare. Solo il Palazzo non lo vede
Nulla sarà più come prima. Vero, infatti ora «gli italiani che non vogliono più fare certi lavori» li trovi esattamente in quei luoghi lì: sulle strade a far consegne di cibo per conto delle multinazionali guidati dalle app; nei campi a raccogliere la frutta di stagione; nelle case per mettersi a disposizione come collaboratori domestici. Insomma in momenti di difficoltà economica, con la spesa da fare e zero entrate nei bilanci familiari, ci si arrangia. Questo è lo scenario che il Palazzo non vede, questa è l'Italia che esce da vecchie posizioni per rimettersi in gioco. Lo fa con umiltà ma con la pretesa di chi non vuole essere sfruttato. Insomma, vanno bene i poor working ma pagati quel che è giusto pagare. Eppure c'è ancora chi vorrebbe nascondere un pezzo di un'altra storia. Uno l'ho sentito martedì sera in televisione nel corso della trasmissione dov'ero anch'io ospite, era Pierferdinando Casini: gli immigrati - ha detto sostanzialmente - servono perché gli italiani non fanno e non vogliono fare questi lavori, quindi abbiamo bisogno di braccianti. Vedremo se le cose stanno davvero così. Per approfondire leggi anche: Ok alla sanatoria dei migranti Intanto Roberto Saviano, sulle colonne di Repubblica, ha scritto che «le fragole stanno marcendo, i pomodori penzolano con la polpa ormai sfatta, le ciliegie sono a terra come tappeti intorno ai tronchi degli alberi» e nemmeno le nespole, gli asparagi, le fave, i piselli e le zucchine se la passano bene. La colpa ovviamente è di chi non raccoglie, di chi non ha fermato il potere del caporalato con un provvedimento ad hoc. Quello delle regolarizzazioni è un tema che periodicamente salta fuori trainato da due argomenti forti: gli italiani non vogliono fare questi lavori (non è la tesi di Saviano) e togliere potere ai caporali quindi alle mafie che si avvalgono del lavoro nero. A scanso di equivoci voglio dire che la legge Bossi/Fini è tuttora in vigore e nessun governo di centrosinistra l'ha mai levata per scriverne un'altra. Il lavoro nero nei campi si è allargato a macchia d'olio perché nessuno ha realmente voluto fronteggiare la questione con le maniere dure, cioé ispezioni e azioni militari per disarticolare l'intreccio clandestinità e lavoro nero: tutti sanno dove accampano questi poveri disgraziati irregolari al servizio dei caporali e tutti sanno in quali campi fanno la raccolta. Evidentemente questo andazzo conviene così com'è. Nessuna regolarizzazione servirà a risolvere una volta per sempre la questione se tanto ci sarà sempre un esercito di disperati pronto a umiliarsi pur di guadagnare qualcosa. Solo un rigoroso intervento di ordine pubblico sarebbe utile al fine di far rispettare i diritti di umanità oltre che quelli del lavoratore. Non è sanando l'irregolarità che sradichi lo sfruttamento. Raccogliere la frutta è un lavoro molto faticoso, un lavoro per così dire «operaio», e che non richiede particolare scienza: ci vuole sacrificio e fatica. Lo hanno fatto i nostri nonni in momenti disperati, toccherà - è la nuda verità - anche a chi in preda alla disperazione non avrà introiti per tenere a galla il bilancio familiare. Molli cittadini italiani se ne sono convinti e si sono messi a disposizione. Con una condizione imprescindibile: fatica e sacrificio in cambio di un salario regolamentato. Nessun mercato nero può fare concorrenza sleale; garantire questo però è compito delle forze dell'ordine e degli ispettori del lavoro. Tengo solo come ultimo argomento, ma non perché sia di minor importanza, l'utilizzo dei percettori del reddito di cittadinanza come platea di lavoratori obbligati a questo genere di lavori. Chi percepisce il reddito non può pensare di godere di un obolo di mantenimento o di assistenza senza che vi sia una controprestazione. In una fase come l'attuale dove le aziende sono chiuse e il lavoro batte fortemente in testa, si prende quel che c'è e soprattutto laddove serve. Senza troppi dibattiti. In attesa dei navigator e dei Mimmo Parisi, si dia corso a quell'incrocio domanda/offerta che oggi diventa un fatto necessario per evitare che la frutta e gli ortaggi marciscano. Nessuna regolarizzazione senza che si abbia la certezza che i percettori del reddito di cittadinanza siano stati contattati e offerto la disponibilità. Non è tempo di retribuzioni gratuite. La situazione è drammatica per tanti cittadini, sia chiaro a tutti.