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Sta per scattare la trappola del Mes. Stavolta il governo rischia il tonfo
La lettera di ieri a firma di Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis esclude che sulla progettata nuova linea «sanitaria» del Mes venga esercitata una «vigilanza rafforzata» – che avrebbe un carattere macroeconomico – ma non smentisce che un controllo normale vi sia sul Paese beneficiario del prestito, all’accesso e nel «durante». D’altro canto, non è chiaro se il particolare finanziamento durerà soltanto, come sarebbe stato previsto inizialmente, finché dura l’epidemia con la conseguenza che, alla cessazione di quest’ultima, il regime del prestito diventa quello normale con tutti i connessi previsti controlli. Anche quelli tanto temuti da parte di molti politici italiani da quel momento in poi. Il rischio insomma è che molto entusiasmo con cui è stata accolta la lettera Gentiloni- Dombrovskis rischi poi la doccia fredda fra qualche mese. Per approfondire leggi anche: Salvini pugnalato pure dalla Padania, caos grillino sull'antimafia, la melina di Renzi. Il Superpodio! Non si può altresì escludere che, pur non essendovi una «vigilanza rafforzata», la normale supervisione possa sempre trasformarsi in un controllo più intenso al verificarsi di determinate circostanze e sempre che ciò non sia escluso a priori con una adeguata misura normativa. Oggi, mentre si attendono i giudizi sul debito italiano di Moody’s e di Dbrs, da un lato, e la comunicazione del «temporary framework» sugli aiuti di Stato da parte della Commissione Ue, dall’altro, si riunisce l’Eurogruppo per mettere, in particolare, a punto, sotto il profilo tecnico, la definitiva proposta per la nuova linea di credito anti-pandemia. La recentissima sentenza della Corte costituzionale tedesca è stata «colta» dai sostenitori della necessità–opportunità di aderire all’accordo sul Mes e di accedere al nuovo tipo di finanziamento con l’argomentazione, abbastanza traballante, secondo la quale ormai si sarebbero drasticamente ridotti gli spazi per gli sperati sostegni da parte della Bce, le cui operazioni non convenzionali sarebbero ora sotto l’occhiuta vigilanza della Consulta germanica, soprattutto con riguardo alla loro «proporzionalità» ai fini della politica monetaria. Si tratta, in effetti, di un giudizio leggero e affrettato, che dà per scontata una sorta di commissariamento «dorato» in cui verrebbe a trovarsi la Banca centrale, una condizione assolutamente irrealistica, confliggente con la tutela della sua autonomia e indipendenza. D’altro canto, dalla Bce non si attendono aiuti, bensì l’esercizio, secondo un’interpretazione-applicazione non restrittiva, del suo mandato inaugurata con successo da Mario Draghi e validata dalla Corte europea di giustizia. È un film, insomma, tutto ancora da vedere, fino a prova contraria, della difesa dello status di indipendenza della Banca come imposto, del resto, dal Trattato Ue che vieta ai Governi di impartirle istruzioni o anche soltanto promuovere sollecitazioni. Ma occorre confidare anche sull’attivarsi della Commissione e del Consiglio per la difesa della supremazia, nella materia in questione, del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale e, conseguentemente, della supremazia della giurisdizione comunitaria. Non esistono, dunque, la possibilità e la fondatezza di uno scambio Bce-Mes. Ieri, davanti alla Commissione economica del Parlamento europeo, il Vice Presidente della Bce Luis De Guindos ha ribadito la linea dell’Istituto, la valutazione costante della proporzionalità degli interventi, la continuazione dell’impegno per evitare la frammentazione del mercato dei titoli pubblici e per fare risalire il tasso di inflazione verso il prescritto target. La Presidente Lagarde, successivamente, ha seccamente dichiarato che la Bce risponde solo all’Europarlamento e alla Corte europea di giustizia. Comunque per il Mes, se si confermerà il tipo di vigilanza sopra richiamato, che non elimina dubbi e possibili preoccupazioni anche se diversi da quelli che avrebbe indotto un controllo rafforzato con il seguito delle pesanti richieste olandesi perché si possa arrivare a un accordo sul Meccanismo, allora si dovrà concludere che rimane messa in forse, se mai sia stata veritiera, la tesi della completa assenza di condizionalità nella nuova linea. Una tesi, del resto, mai sostenuta dagli stessi Paesi cosiddetti frugali dei quali la Germania è una specie di capogruppo. D’altro canto, il Premier Giuseppe Conte, in un’intervista al Fatto quotidiano, ha ribadito di non ritenere utile il ricorso al Mes. Allora si continuerà ad aderire formalmente all’accordo anche perché altri Paesi vicini all’Italia nelle strategie in sede europea desiderano beneficiarne, ma nel contempo si dichiarerà che l’Italia non intende fruirne? Un’acrobazia, insomma, al limite del tonfo. Come dire: approvo, ma nel contempo disapprovo. Sarebbe, allora, più logico mettere alla prova istituzioni dell’Unione e sfegatati sostenitori del Mes subordinando l’adesione alla stipula di un accordo intergovernativo che deroghi anche al Trattato sul Mes e alle altre norme europee collegate, la «sedes materiae» essendo, a questo punto, solo l’accordo che espressamente escluderebbe le condizionalità, pur prevedendo il vincolo di destinazione del finanziamento. L’intesa disciplinerebbe la durata di quest’ultimo, l’onere complessivo, la non riconduzione del suo regime a quello normale del Mes, una volta cessata la pandemia, come, invece, ora si potrebbe dedurre e ogni altra necessaria clausola. Addirittura si potrebbe sostenere che aderire alla tesi anzidetta di accettare «sic et simpliceter» il Mes perché si starebbe ridimensionando l’operatività della Bce, sarebbe, oltre tutto, un modo per l’Italia di aderire, magari pur non volendolo, alla grave pronuncia della Consulta tedesca. Non si può credere che questa potrebbe mai essere la stupefacente linea del Governo. In ogni caso, oggi è doveroso che sia definitivamente chiarita la portata delle affermazioni della lettera citata all’inizio.