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Zingaretti scarica sui medici in trincea: "Non sprecate le mascherine"

Vergogna alla Regione Lazio dopo la gara di forniture farlocche

Franco Bechis
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Dato che mancavano mascherine per medici e infermieri nella sanità laziale bisognava usarne il meno possibile. Non c'erano perché nessuno ci ha pensato per tempo, e quando troppo tardi la Regione Lazio guidata da Nicola Zingaretti si è mossa ha indetto una gara da oggi le comiche su cui sta indagando la magistratura come da giorni (oggi nuova puntata) raccontano su Il Tempo Daniele Di Mario e Fernando Magliaro. Per l'una e l'altra ragione le mascherine della sanità laziale (come i tamponi), scarseggiavano e il personale doveva farne meno uso possibile anche a rischio della propria incolumità. Così si desume da una raccomandazione che la Regione Lazio il 23 marzo scorso ha inviato a tutti gli operatori della Sanità: «Nella situazione epidemiologica attuale e di previsione, la gestione dei casi sospetti o confermati di Covid-19 necessita una applicazione delle misure di prevenzione che sia razionale e sostenibile, anche in relazione all'utilizzo dei Dispositivi di Protezione Individuale (Dpi)». Leggi anche: Coronavirus, la procura apre un'inchiesta sul fiasco mascherine ordinate dalla Regione Lazio Capito? Uso «razionale e sostenibile» nel senso che non essendoci gli arsenali non potevano sopportare altro. Ma ecco la raccomandazione più grottesca qualche riga sotto: «Per ridurre il consumo improprio ed eccessivo di Dpi e prevenire la loro carenza è opportuno che gli operatori evitino di entrare nella stanza in cui sia ricoverato un caso sospetto/accertato di Covid-19 se ciò non è necessario ai fini assistenziali». Letta così, uno immagina che nelle stanze dove erano ricoverati i malati di coronavirus infermieri, medici e addetti alle pulizie ad ogni ora del giorno organizzassero tombolate Covid 19 sprecando per puro divertimento le pochissime maledette mascherine a disposizione. C'era qualcuno che entrava lì per motivi non assistenziali? Forse un matto. Quella disposizione regionale suona da presa per i fondelli del personale sanitario che lì rischiava la vita. Ecco un'altra raccomandazione con lo stesso stile: «È anche opportuno rivedere, ove possibile, l'organizzazione del lavoro, cercando di raggruppare le attività assistenziali al letto del paziente al fine di minimizzare il numero di ingressi nella stanza (ad esempio: controllare i segni vitali durante la somministrazione di farmaci o la distribuzione del cibo)». Quindi caro medico o infermiere, dagli da mangiare e intanto per favore controlla pure se è vivo, fagli la flebo mandando una sola persona che compia insieme queste attività: vivandiere-infermiere-medico tutto in uno, perché non abbiamo mascherine per tutti. Visto che le mascherine proprio non c'erano, ecco l'ultima disposizione: «In caso di disponibilità limitata, è possibile utilizzare la stessa mascherina chirurgica o il filtrante per assistere pazienti Covid 19 che siano raggruppati nella stessa stanza, purché la mascherina non sia danneggiata, contaminata o umida». Traduco: non abbiamo pensato per tempo alle mascherine, quindi anche davanti a diversi malati di coronavirus usate più volte la stessa. Certo, se non è bucata... Vado avanti? Non voglio annoiarvi: l'intera raccolta di raccomandazioni è forse più interessante per la procura della Repubblica che per voi lettori. Non bisogna quindi stupirsi se proprio lì dove il virus doveva essere combattuto con ogni arma è deflagrato, e forse è solo un colpo di gran fortuna se nel Lazio non è esploso più di quel che è avvenuto. Si dice che siano stati fatti pochi tamponi, ed è vero: non c'erano nemmeno quelli, sono pieno di lettere e di messaggi di lettori de Il Tempo che mi scrivono da ogni zona del Lazio per dirmi che i loro sintomi sono stati ignorati dalle autorità sanitarie (emblematico il caso di Campagnano da ieri zona rossa dopo che da settimane non venivano ascoltati gli sos dei malati in quella zona). Tamponi fatti solo quando non si potevano più evitare. E dobbiamo ancora capire che cosa sia accaduto anche nel Lazio all'interno di quelle Residenze sanitarie per anziani in cui i malati di Covid li ha inviati proprio la stessa Regione, invitando il 28 marzo scorso le Rsa a «manifestare la disponibilità ad accogliere pazienti Covid positivi che non necessitano di ricovero in ambiente ospedaliero all'interno di strutture ovvero di nuclei dedicati». Di sicuro c'è qualcosa di molto simile nel comportamento in questa vicenda del premier Giuseppe Conte e del presidente della Regione Lazio Zingaretti. Entrambi hanno sottovalutato i rischi del virus, entrambi non hanno pensato nemmeno dopo settimane a preoccuparsi delle scorte degli approvvigionamenti (Conte lo ha fatto solo per la sua stretta squadra di collaboratori, Zingaretti è andato a fare esplodere l'infezione in Lombardia giocando con cene cinesi e aperitivi con i giovani), sia l'uno che l'altro quando sono iniziate ad emergere mancanze gravi nella gestione della crisi, hanno alzato polveroni e scaricato le loro colpe su altri. Si sono proprio trovati a nozze quei due...

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